Goran Bregovic applaudito a Bertinoro: “Non c’è niente di puro nella mia musica: è tutto contaminato!” / GALLERY

BERTINORO. È l’estate dei grandi concerti, quella del 2024: nel suo genere non fa eccezione Bertinoro dove la sera di martedì 16 i Giardini della Rocca vescovile si sono riempiti di circa 1200 persone di tutte le età per Goran Bregovic con la sua Wedding and Funeral Band. Il compositore di origine bosniaca, invitato dall’amministrazione comunale e dal Festival Entroterre, ha eseguito brani meno noti, ma anche “Kalashnikov”, “Jeremija”, la magica “Ederlezi” o “In the death car” di “Arizona dream”.

Goran Bregovic, lei ha fatto conoscere nel mondo la tradizione musicale dei Balcani e delle comunità zingare.

«Io vengo da una cultura piccolissima paragonata alla vostra, e tutto quello che succede a me e al mio gruppo è un miracolo, con pubblici in tutto il mondo: dall’Islanda alla Siberia a Hong Kong a Macao e in Cile... Penso però che forse per la prima volta nella storia piccole culture influenzino le grandi, non solo in musica ma in letteratura, nel cinema, in cucina, dando colore e gusto al nostro mondo! Poi, tutte le musiche vengono dalla tradizione, da Stravinskij a Lennon a Bono, sempre ce ne sono tracce. E anche nella mia musica, se togli quello che è influenzato dalla tradizione, non resta molto...».

Nel suo tour lei ripropone brani di grandi film di cui firmò la colonna sonora, da “Underground” a “La regina Margot”.

«Sono finito quasi per caso a scrivere per film, “Il tempo dei gitani” per esempio lo feci per amicizia. Poi nei primi anni della guerra, mi proposero pellicole non proprio industriali, che quindi non avevano bisogno di un compositore “tipico”, e anche in Italia ho fatto un bel film, “I giorni dell’abbandono” nel 2005. Molto tempo dopo, durante il Covid ho firmato due colonne sonore sempre per film non da grande industria, uno serbo e uno americano, che finirò quest’anno».

Bertinoro era la prima tappa del suo tour italiano.

«È estate, è tempo di divertirsi e di ballare: e anche io voglio divertirmi lì sul palco. Proponiamo quindi brani vecchi e nuovi, in greco, spagnolo, arabo, in gitano... Io vengo da una frontiera fra le religioni e le culture, e non c’è niente di puro nella mia musica: è tutto contaminato da armonie cattoliche, sonorità ortodosse, ritmi orientali. Il mondo del resto è diventato così bello solo perché ci si muove: pensiamo come sarebbe senza gli italiani, che sono dappertutto. Inimmaginabile».

In una recente intervista lei ha affermato che “Il miracolo della musica accade solo per chi la esegue. Non basta a far tacere le armi”.

«La musica non è necessaria nella sua essenza: in fondo è un po’ come il sale, che usiamo per dare più sapore ai cibi. Bisogna caderci dentro per sentirla, per questo in concerto mi piace dire “chi non diventa pazzo, non è normale”...».

E il suo rapporto con l’Italia?

«Quando avevo 18 anni, durante il comunismo, sono venuto a Napoli a suonare nei bar, ed era tutto miracoloso: ero nel paese di Sanremo e ho visto per la prima volta il flipper o il toast. Ora che di anni ne ho 73, mi sono esibito sui più bei palcoscenici: una lunga strada, ma sono felice di averla fatta...».

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