Terrore a Capodanno a Villa Verucchio, lo zio dell’accoltellatore ucciso: «Non era un terrorista»
«Mio nipote non era un terrorista, non era radicalizzato, non apparteneva ad alcun gruppo. Lui era estraneo a certi ambienti». Samir Mahmud Alfar ha solo 28 anni ed è il fratello della mamma di Muhammad Abdallah Abd Hamid Sitta, l’egiziano 23enne che la notte di Capodanno ha accoltellato 4 persone prima di essere fermato dai carabinieri. «Ci dispiace di quanto accaduto e la nostra solidarietà va alle vittime di mio nipote, ci dispiace se ha fatto del male a quelle persone e a quei ragazzi come lui. Chiediamo perdono per lui che ora non c’è più. Noi vogliamo solo sapere cosa è successo e come sono andate le cose».
Alfar lavora e vive a Roma e con altri parenti e conoscenti giovedì è arrivato a Rimini per capire cosa davvero sia accaduto a quel ragazzo che ha visto nascere. Non solo, vorrebbe riportare in patria la salma del 23enne per consentire alla sorella di «darne una degna sepoltura. Mio cognato - ha raccontato -, il padre di Muhammad, non sta bene si doveva operare e quando ha saputo che il figlio era morto si è sentito male». Quindi è toccato allo zio materno fare il possibile per riavere il corpo di Muhammad che al momento è ancora a disposizione della magistratura visto che giovedì è stata eseguita l’autopsia. Un accertamento irripetibile che la Procura della Repubblica ha disposto e la dottoressa Donatella Fedeli ha eseguito alla presenza del consulente di parte, il dottor Paolo Balli, nominato dall’avvocato Tommaso Borghesi, legale della difesa del luogotenente Luciano Masini. Se vi fosse stato il tempo probabilmente anche i genitori di Muhammad avrebbero nominato un loro consulente. Perché Sitta, quel ragazzo che a Villa Verucchio nessuno ha detto di conoscere, se non i vicini di casa dell’appartamento in cui la cooperativa Il Millepiedi lo aveva sistemato, ha una famiglia lontana ma nonostante questo sta tentando di capire cosa possa essere accaduto. Genitori e zii, grazie all’interessamento di alcuni connazionali a Roma, si sono rivolti all’avvocato Alvaro Rinaldi, che ha sia uno studio nella capitale che a Rimini. «Si sono rivolti a me ieri (giovedì ndr) ma l’incarico non è ancora perfezionato perché devono arrivare dei documenti dal Consolato d’Egitto che dimostrino l’effettiva parentela. Hanno chiesto di avere la possibilità di portare nel proprio Paese il congiunto e senza alcuna voglia di rivalsa o di vendetta hanno solo chiesto di poter avere dei chiarimenti sull’accaduto».