“Lo sport insegna a vivere”: addio a Rino Tommasi, un maestro di giornalismo
Rino Tommasi ci ha lasciati oggi a 90 anni e da oggi sono orfano, giornalisticamente parlando. Tommasi e Gianni Clerici erano i miei genitori professionali, quelli che mi hanno insegnato cosa vuol dire scrivere un pezzo di tennis.
Rino Tommasi doveva essere a Rimini uno dei relatori di prestigio in quello straordinario momento di cultura sportiva che fu “Lo sport tra i banchi”, l’incontro tra i campioni ed i protagonisti dello sport e gli studenti voluto dal 2004 al 2008 dall’assessore allo sport del Comune, Donatella Turci. Portammo, io e Donatella, in quasi tutte le scuole superiori di Rimini grandi campioni e cantori sublimi dell’arte sportiva, in incontri in qualche modo incentrati sui rispettivi percorsi di studio, così Sara Simeoni, Nicola e Giulio Ciotti parlarono di “Questione di centimetri” all’istituto per Geometri, Leo Acori e Paolo Bertolucci sulla costruzione di una squadra all’Itc “Valturio”, Alex De Angelis e Tommaso Totti sulle moto all’Ipsia “Alberti”, Sergio Zavoli al Fulgor a parlare di comunicazione sportiva al Liceo della Comunicazione, con l’indimenticabile lectio magistralis sull’importanza di un secondo posto, Valentina Vezzali e Renzo Vecchiato allo Scientifico su “Cinque Cerchi di Gloria”, Pietro Mennea al Liceo scientifico Einstein. Proprio al Liceo Scientifico di Rimini doveva essere protagonista Rino Tommasi con un lezione dal titolo: “I numeri dicono sempre la verità”. Il tema l’avevo impostato io, sapevo che a Rino sarebbe piaciuto parlare dell’importanza dei numeri nello sport agli studenti, ma alla fine declinò, in maniera inaspettata. Forse non se la sentiva già più di girare e fare tanti incontri.
Per il resto lui e Gianni Clerici sono sempre stati i miei maestri perché uno insegnava in fondo che il tennis è poesia e i punteggi ne sono la conseguenza, l’altro mi ha insegnato a dare importanza alla sostanza, il tennis era e rimane uno sport universale e si diventa campioni sulla base di un percorso di lavoro, ma soprattutto perché si hanno delle doti uniche e speciali. Rino mi ha insegnato, nelle trasferte in cui ho avuto il piacere di incontrarlo, di “separare il grano dal loglio” come diceva Dante, di individuare le storie vere dalle sole nello sport. E poi mi affascinava quel saper ricondurre il tutto ad una formula matematica, guardare un match di tennis con lui era come osservare l’universo con Copernico. E poi ho imparato a non distinguere più il lavoro dalla scrittura, il giornalismo dal piacere. Ogni tanto mi guardava e mi diceva: “Pensa che mi pagano anche per essere qui, per scrivere questo articolo. Non sanno che lo farei anche gratis”. Pensa Rino che dopo 35 anni anche a me mi pagano ancora. Lo ricordo quando lui e Clerici mi presero in giro a Milwaukee perché Francesco Ricci Bitti disse con molta generosità che io ero uno dei migliori giornalisti italiani di tennis, lo ricordo discutere con Giampiero Galeazzi in sala stampa perché “Bisteccone” voleva raccontare una barzelletta e tutti dovevano ascoltarlo, lo ricordo con questa sua frase: “Ho sempre pensato che lo sport insegna ad affrontare due situazioni importanti e con le quali quasi tutti dobbiamo confrontarci, insegna a vincere e insegna a perdere, in altre parole insegna a vivere. E io sono contento della mia vita”. Grazie Rino.