I trionfi del nostro tennis e le vittorie di genitori discreti che non mettono pressione
Un tennista fino ad una certa età fa parte di un’impresa familiare, poi diventa leader di una Srl, una società a responsabilità limitata (ma nemmeno troppo). Quando vediamo un match di tennis di alto livello vediamo solo il vertice, il prodotto finale di un lavoro durato anni nel quale c’è il giocatore, ma dietro una sommatoria di componenti lunga come i colpi del tennis. E’ un po’ così in tutti gli sport, ma nessuno è complesso come il tennis e forse in nessuno la famiglia assume un ruolo così fondamentale. Per questo quando si analizza un giocatore si dovrebbe partire dal nucleo familiare, per questo l’esperienza che sta vivendo il tennis in questi anni dovrebbe diventare un laboratorio speciale di studio per altre discipline.
Un po’ maestri, un po’ psicoterapeuti. Ormai i maestri di tennis sono anche dei profondi conoscitori della psiche, del loro allievo, ma anche di chi lo circonda. Sono diversi i corsi che i Circoli stanno allestendo per educare i genitori ad assistere il tennis dei loro figli, in alcuni Club si va di pari passo, i bambini in campo, i genitori sui banchi. Perché in molti casi il problema non è il dritto dei ragazzi, ma soprattutto sono i rovesci mentali dei più grandi. Ma la Federazione ed i tecnici hanno capito che a bordo campo non ci possono stare padri e madri di “fenomeni” e quindi stanno intervenendo.
Ci sono poi maestri, come Fabrizio Serafini al Tennis Club Riccione, che hanno scritto un libro sulla “Sana Cultura Sportiva” e vanno nelle scuole a fare didattica. È solo l’inizio, ma un giocatore di tennis deve giocare un match corretto, deve mostrare rispetto in campo all’avversario e verso chi sta fuori, ed al termine deve stringere la mano (minimo sindacale), ma forse sarebbe anche meglio abbracciare il suo avversario. Un lungo preambolo per dire che in questi giorni hanno impressionato le ragazze in campo conquistando la Billie Jean King Cup a Malaga, ma di pari passo hanno impressionato le dichiarazioni dei loro genitori e fratelli. Vincere è bello, ma è solo un percorso, trionfare è meraviglioso, ma è la vittoria di tutti e soprattutto è il coronamento di anni di sacrifici. E se il percorso è sano, corretto, rispettoso, se aiuta a capire gli altri, a conoscere se stessi, diventare persone migliori, il traguardo è solo l’atto conclusivo di un bel viaggio, interiore prima che esteriore. Così facendo avremo genitori che hanno solo assecondato un percorso, hanno solo favorito un talento, hanno solo intuito un’inclinazione. E poi si sono quasi annullati affinchè si compisse il prodigio. Genitori che guidano i camper, che prendono tutte le ferie possibili per seguire i tornei, che magari corrono il rischio di non seguire con altrettanta intensità gli altri figli. Genitori che danno tutto, come i figli in campo, ma con discrezione, con una sollecitudine pari alla moderazione ed alla prudenza.
Il tennis di questi giorni ci ha insegnato anche cosa prevede la legge, l’articolo del codice civile, il 315 bis, che ci viene letto quando ci sposiamo e di cui dimentichiamo il contenuto la sera stessa: “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”.
Senza saperlo, forse, l’articolo citato da Jannik Sinner quando disse al termine della vittoria agli Australian Open: “Grazie ai miei genitori per avermi lasciato libero di provare e non avermi messo pressione”. Abbiamo imparato che si può essere guide importanti ed autorevoli, senza essere né asfissianti né autoritari. Ma semplicemente sempre presenti. Q.B., quanto basta, come in alcune ricette.