La dimensione del sogno è ciò che manca a chi tifa Rimini
Essendo in tema di elezioni presidenziali negli Stati Uniti, uno slogan celebre della campagna elettorale di Obama fu “Yes, we can”. Fatte le debite proporzioni, a Rimini e per i tifosi del Rimini lo slogan si potrebbe trasformare in “No, we can’t”. Cos’è che non si può fare? Sognare. Che è uno step ulteriore rispetto a concetti tipo: società solida, squadra solida, allenatore bravo e preparato. Tutto vero e incontestabile, ma quando in un gioco come il calcio manca la dimensione del sogno, l’ambizione anche solo mentale di raggiungere livelli di eccellenza assoluta ecco che tutto diventa gradualmente ordinario. Ed è triste che questo accada nella città di Fellini, che con i sogni ha vinto un Oscar.
La dimensione del sogno
A meno di effetti speciali che non sono da escludere nell’immediato (nuovo stadio, nuovo centro sportivo), ciò che latita tra i tifosi biancorossi non è la fiducia in un presente onorevole ed accettabile, non è la considerazione e la gratitudine per quanto fatto da questa società, quanto il fuoco e la passione per obiettivi importanti, come la Serie B. La “malattia” che grava sull’ambiente biancorosso si chiama “Aurea Mediocrità”.
A Rimini manca la Dimensione del Sogno per tanti motivi. A livello tecnico si fa fatica ad emozionarsi per una squadra in cui mancano giovani forti, prospetti che quando li vedi giocare pensi: “E’ una delle ultime volte che lo vedo in questa categoria”. Mancano i giovani forti, ma anche gli “anziani bravi”, cioè quei giocatori di assoluta qualità, che dai palcoscenici metropolitani si spostano in periferia per prendersi gli ultimi applausi. E mancano anche i giocatori riminesi, tranne il verucchiese Tomas Lepri, il solo di questo Rimini che abbia reali possibilità di salire ancora, e Diego Accursi, che però gioca praticamente mai. Non rimane che affezionarsi al progetto della società, che però richiede tempi lunghi, tanta fiducia e passaggi burocratici: insomma, richiede tanta lungimiranza. Però nel frattempo il sabato e la domenica non si manda in campo il Progetto ma una squadra.
Il tempo che passa, e la felicità?
Però la squadra che faccia sognare non c’è e manca anche un impianto che non faccia piangere come il Romeo Neri. Lo schizofrenico calendario della Serie C manda i tifosi in tribuna come in trincea, come in un Pronto Soccorso, a tutte le ore del giorno e della notte, anche “Quando fuori piove” come direbbe Ultimo. Eppure ci sono dei coraggiosi che se ne stanno quasi due ore sotto pioggia, nebbia e gelo. Così non va.
Manca il sogno, ma non la realtà. La città di Rimini, grazie a questa società, è sicura di poter rispettare tutte le scadenze, tutte le normative, nessuno deve avere un euro e non è sempre stato così. Inoltre i progetti sono importanti, ma questi li vedremo strada facendo. E anche da un punto di vista tecnico c’è uno staff che, alle spalle di Antonio Buscè, lavora con assoluto discernimento e notevole capacità. Naturalmente con il budget a disposizione.
Riassumendo: tutto bene, ma niente benissimo. Nessuno si deve offendere se nello sport ci sono i livelli oggettivi, quello del Rimini è questo, squadra solida, quadrata, determinata, ma con poca qualità.
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