Lo spogliatoio del Cesena e Ugo che sapeva parlare e sapeva ascoltare

Cesena Calcio
/  A un dato momento

Guardava il giornale, poi lo abbassava e guardava lui. Rialzava il giornale, lo riabbassava e riguardava lui. «Senti Hubner, stavo leggendo qui: ma lo sai che è vero? Tu assomigli proprio a un Bisonte».

Gabriele “Ugo” Angeli ci ha lasciati nella notte tra giovedì e venerdì, fiero di 71 anni portati magnificamente, in barba a una malattia vigliacca che non può sconfiggere una vita piena di tutto. Dopo un’avventura iniziale da tecnico delle luci ai concerti (da Loredana Bertè a Vasco Rossi), dal 1988 al 2008, è stato il magazziniere del Cesena al seguito della prima squadra, poi dieci anni di servizio allo stadio fino alla pensione. Per chi vorrà salutarlo, l’occasione sarà questa mattina alle 9.30 alla camera mortuaria del Bufalini.

Un magazziniere può diventare un simbolo di una squadra professionistica? Ugo c’è riuscito e la sua storia a Cesena è una collana di perle di una sterminata anedottica degna di un rockettaro come lui. Dibatteva di musica e magnificava i Lynyrd Skynyrd di “Sweet Home Alabama”, mentre la sua dolce casa non era l’Alabama, ma più umilmente Villa Silvia di Lizzano.

In linea con la sua passione, non aveva sfumature di grigio, per lui o era bianco o era nero: essergli simpatico era una delizia, stargli sulle scatole era impegnativo, anche perché faceva di tutto per fartelo capire. Ai tempi della C, un allenatore lo rimproverò perché troppo amico dei giocatori e la sua risposta fu un filino tranciante: «Facciamo che io lavo delle mutande e tu pensi a fare dei punti?». I giocatori diventavano quasi tutti dei compagni di scuola e Ugo era il capoclasse anziano: per un decennio abbondante, aveva pure adottato Oriano Gardini, una persona speciale che abitava vicino al centro sportivo.

Oriano era diventato la mascotte di tutti e chiunque abbia frequentato Villa Silvia negli Anni 90 ha negli occhi gli incredibili sketch tra Ugo, Oriano e Stefano Dadina.

La sua specialità erano i soprannomi: alcuni irriferibili, altri no. E allora via con Urner (Dario Hubner), San Giuseppe (Aldo Dolcetti), Cippio (Maurizio Marin), Binocchio (Jonathan Binotto), Corìspoli (Maurizio Codispoti), Ermellini (Andrea Armellini), Ciappy (Paolo Ciapina Ferrario), Lo stratega (Corrado Benedetti), Psyco (Alberto Cavasin), Kappler (il preparatore Daniele Farnedi), Dadda (Massimo Gadda), Er Piotta (Angelo Paradiso), Tòppide (Simone Confalone), Aundàtomomento (Edmeo Lugaresi), Cavallo (il cavaliere Pier Luigi Cera), Il miglio verde (Daniel Ola), Olmo (Maurizio Ciaramitaro per il capello da cantante neomelodico come Fabio De Luigi a “Mai dire gol”).

Ha lavorato seriamente senza mai prendersi sul serio, scaricando migliaia di cestoni di maglie griffate Orogel, Amadori, Tecnocasa e così via. Per sua ammissione, faceva il lavoro sporco e non era un modo di dire, poi per fortuna si sedeva a vedere l’allenamento e il cabaret era assicurato. Per esempio, un giorno Paolo Ferrario in campo voleva alleggerire il clima e disse ai giocatori: «Dai ragazzi, partitina. Allora, chi fa le squadre?». E Ugo a bordo campo a tutto volume: «Di solito l’allenatore, poi adesso non so». Qualche anno prima, in un’intervista c’era Mario Manzo che stava facendo l’elenco di tutti gli allenatori che aveva avuto, finché Ugo non si inserì a tradimento: «Ma con l’età che hai, ti ha allenato pure Vittorio Pozzo?».

Il Cesena per lui è stato come una famiglia e come nelle migliori famiglie, ogni anno spuntavano giocatori o allenatori che ha amato come fratelli, insieme ad altri che non ha mai sopportato. Per esempio, Marco Tardelli: sulla carta non avevano nulla in comune, ma proprio nulla. Invece a Cesena diventarono grandi amici, compagni di risate nei momenti di gioia e di silenzi nei momenti difficili di campionati difficili. Perché Ugo sapeva parlare e sapeva ascoltare. Forse è per questo che era così bello essergli amico.

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