La seconda vita di Campofranco: “Cesena è calore e passione”

Ventitre anni sono una vita calcistica. E infatti quest’estate Davide Campofranco è tornato a Cesena con un ruolo diverso. Nel 2001 venne acquistato per rinforzare il centrocampo di una squadra anonima che chiuse il campionato di Serie C1 all’ottavo posto con appena 45 punti conquistati in 34 partite, 24 delle quali con lo Sceriffo di Palermo in sala comandi. Oggi, invece, Campofranco non è più in regia, ma dietro le quinte. A differenza di 23 anni fa non è stato acquistato dal Cavalluccio, ma è stato scelto dal tecnico bianconero Michele Mignani, che lo ha voluto nuovamente al suo fianco dopo le esperienze a Bari e a Palermo nel ruolo di collaboratore tecnico.

Campofranco, come è nato questo rapporto di lavoro con Mignani?

«Ci siamo trovati a Bari poco più di tre anni fa. Lui aveva bisogno di un collaboratore e così il direttore sportivo Polito, che mi conosce bene perché siamo legati da un rapporto di profonda amicizia, mi chiese la disponibilità e se io me la sentissi. Ero appena rientrato da un’esperienza in Cina, dove sono stato direttore tecnico del settore giovanile e allenatore dell’Under 19 di un club cinese che aveva stretto una collaborazione con il Milan. Accettai subito e ora siamo di nuovo insieme, al quarto campionato dopo le ultime tre stagioni. Abbiamo costruito un gruppo di lavoro fantastico e siamo diventati amici. Con Simone Vergassola e Giorgio D’Urbano il mister lavora da più tempo, ma tutto lo staff è unito e si lavora sempre con il sorriso perchè tutti si fidano di tutti».

Quando Mignani le ha detto di prepararsi per questa nuova avventura a Cesena, qual è stato il suo primo pensiero?

«Tornare nei posti dove hai vissuto e hai giocato in passato fa sempre un certo effetto, naturalmente positivo. Mi ha fatto piacere tornare a Cesena perché qua si vive bene, la gente è accogliente e appassionata. La mia esperienza da calciatore non fu molto felice, ma io a Cesena era stato molto bene».

Cosa ricorda di quella stagione da calciatore nel 2001-2002?

«Ricordo che fino a dicembre, con De Vecchi, la squadra era stabilmente dentro ai play-off e che la classifica rispecchiava il valore della rosa. Poi si decise inspiegabilmente di cambiare allenatore (arrivò Cuttone, ndr) e le cose peggiorarono. Da quel momento siamo andati allo sbando. Dal punto di vista calcistico non è stato uno degli anni migliori della mia carriera, ma io a Cesena ho vissuto bene e non mi sono lasciato male con nessuno. A fine stagione ci siamo separati senza alcun problema».

Cosa le ha lasciato quella esperienza?

«Ho avuto la fortuna di vivere la città e devo dire che sono stato davvero bene. Abitavo in centro, a due passi da quello che era il Bar del Capitano e dove ora non si può più arrivare in auto. Oggi, invece, abito a 50 metri dallo stadio. Cesena è un posto accogliente e tranquillo, sono contento di poter rivivere la città, anche se da un’angolazione diversa».

Rispetto a 23 anni fa, cosa è cambiato e cosa non è cambiato a Cesena?

«Intanto è migliorata tantissimo, come città e come club. Dopo l’alluvione, avete trovato la forza di alzarvi e di ripartire. Ho trovato una città ancora più bella. Poi c’è lo stadio. Da calciatore non avevo mai vissuto un Manuzzi così caldo e così pieno, perché l’annata non era stata buona. Diciamo che dentro allo stadio di oggi mi sarebbe piaciuto giocare e mi sarebbe piaciuto cantare Romagna Mia a fine partita. La passione e il calore dei tifosi non sono proprio cambiati».

Dopo aver chiuso la carriera, quando ha capito che sarebbe diventato un collaboratore?

«La molla è scattata tre anni prima di smettere di giocare, quando avevo 35-36 anni e ho capito che mi sarebbe piaciuto fare l’allenatore. Non ho mai avuto l’opportunità di farlo, se non in un settore giovanile, e così ho scelto questa strada».

Quali sono le vere mansioni di un collaboratore tecnico? E quali differenze ci sono rispetto a un vice allenatore?

«Tra me Vergassola le differenze sono poche. Siamo sempre a stretto contatto con Mignani, poi ovviamente decide sempre tutto lui. Devi calarti nella realtà e in un modo di pensare che non è il tuo, devi sempre essere di supporto al tecnico che decide. Non ti puoi permettere di sbagliare di una virgola».

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