«Zebi chi? L’ex centrocampista che piaceva a Bisoli?». Due estati fa tornò a Cesena avvolto dalla penombra e accompagnato da qualche vago e ingiallito ricordo, perché da calciatore vinse un campionato giocando appena 16 partite. Oggi, invece, Moreno Zebi saluta Cesena dopo due campionati appassionanti, trascorsi in prima linea e con una partecipazione ben diversa, chiusi allo stesso modo ma coinvolgenti e travolgenti. Non ha vinto, «ma ho conquistato 124 punti, prendendo la squadra al 13° posto e lasciandola al 3°. Quindi sì, mi ritengo davvero molto soddisfatto». Questa mattina il direttore sportivo di Gubbio consegnerà la chiavi del suo appartamento a due passi dalla Barriera, il rifugio dal quale ieri ha ripercorso un biennio che non dimenticherà.
Zebi, che esperienza ha vissuto in Romagna?
«Un aggettivo non basta. Sono stati due anni entusiasmanti, meravigliosi, belli e appassionanti dal punto di vista lavorativo ma anche umano. Se la mia carriera avrà un futuro, sarà soprattutto per merito di questi due anni. Ma soprattutto, se dovessi arrivare ancora più in alto, molto lo dovrò a Cesena».
Rispetto a 2 anni fa, in cosa pensa di essere migliorato e cosa le ha insegnato questa esperienza?
«Questi due anni mi hanno insegnato che bastano otto secondi per perdere una partita, ma anche che i pronostici si possono sovvertire e noi lo abbiamo fatto soprattutto quest’anno. Ho scoperto che le idee contano quanto i soldi o forse anche di più. Ho imparato che bisogna sempre essere onesti, chiari, diretti e concreti sempre anche sul lavoro. Da Cesena me ne vado cambiato e cresciuto. Aver parlato di calcio per due anni a una piazza di calcio vera come questa è stato un privilegio. Ho una stima immensa di questa città ed essere stato al comando di un progetto tecnico mi ha dato orgoglio, energia e forza. Cesena è una grande palestra, da qualsiasi prospettiva la si guardi»
Dopo un anno da calciatore, a distanza di 12 stagioni ha trovato cambiata la piazza?
«La prospettiva di approccio è stata completamente diversa e ha chiaramente determinato la mia percezione. Calciatore e direttore sportivo sono due emisferi diversi, che vanno nella stessa direzione. In questi due anni ho capito più profondamente il senso di quello che è il calcio a Cesena. Da calciatore percepivo soprattutto lo stadio alla domenica, in questi due anni ho vissuto la città a 360 gradi, ho avuto voglia di instaurare rapporti, ho ascoltato e imparato. Da calciatore ero molto più introverso e anche limitato, da direttore sportivo ho vissuto non solo la squadra, ma anche la città e le sue abitudini».
Qual è stato il momento più bello?
«Quando sono arrivato due anni fa, perché mi sentivo appagato e contento. Ma anche questo è uno dei momenti più belli, perché ho ricevuto tanti attestati di stima e di riconoscimento. E non credo che siano finti, perché quando uno se ne va non ce n’è bisogno. In mezzo ci metto tantissime soddisfazioni, come essere sempre riusciti a competere contro i pronostici e soprattutto contro le squadre più forti. Abbiamo vinto scommesse, altre le abbiamo perse, ci mancherebbe. Ma siamo sempre stati competitivi. Lo dovevamo al nostro lavoro e alla nostra gente. I rapporti creati sono una grande vittoria, quindi oggi mi sento un uomo migliore, più completo e più consapevole».
Quale partita vorrebbe rigiocare?
«L’ultima. Perché non l’abbiamo giocata».
Quale errore si imputa in questo biennio?
«Beh, ci sono gli errori tecnici, nel senso che magari, con il senno di poi, non avrei acquistato qualche calciatore dal quale mi sarei aspettato di più. Ma questo fa parte del gioco».
Non pensa di essersi legato troppo a Viali?
«No, questo è solo un pettegolezzo. Ascoltate l’intervista di Maldini e quella di Pioli, solo che loro hanno vinto e il risultato finale sposta sempre alcuni giudizi. Vi assicuro che quando sbagliavamo, eravamo i primi a saperlo ed eravamo i primi ad analizzare gli errori. Solo che ho sempre preferito lavare i panni sporchi in casa. E poi credo sia giusto che il direttore sportivo difenda sempre pubblicamente la squadra e l’allenatore. Io non mi sono mai parato il culo, ho sempre condiviso con tecnici e giocatori le vittorie e le sconfitte».
Quando ha capito che non sarebbe stato confermato? E come ha vissuto il passaggio di proprietà quest’inverno?
«Nella prima fase c’è stata innanzitutto la speranza di non andare via, come invece mi era capitato a Novara. Poi sono cresciute la fiducia, la curiosità, la voglia di migliorare. Sono una persona ottimista, ho sempre sperato e pensato che la novità portasse qualcosa. Ed alla fine è stato così. Ho conosciuto una nuovo modo di lavorare, una nuova mentalità. Io penso che il brand Cesena sia cambiato da quando sono arrivato ad oggi, ed è merito anche del mio lavoro».
L’acquisto più appagante è stato Bortolussi? E il rimpianto?
«Sì, per il rischio che mi sono preso, è stato l’acquisto più rischioso a livello economico ma anche il più appagante. Era una scommessa e penso di averla vinta. Poi dico Collocolo e Candela, due giocatori che nessuno conosceva. Quanto ai rimpianti, non ne ho».
Cosa manca al Cesena per provare a vincere la C?
«Investimenti più importanti, a livello economico. Ma l’estate della nuova proprietà è appena cominciata».
Se le chiedessero cosa si prova a lavorare qua, lei cosa risponderebbe?
«Orgoglio e senso di appartenenza. Ma anche fierezza. A Cesena ti senti fiero e orgoglioso. In cambio devi dare rispetto, serietà e umiltà e io penso di aver ricambiato tutto quello che mi è stato dato».
Cosa c’è nel suo futuro? Da Novara danno ormai fatto il suo ritorno in Piemonte.
«Mi vogliono, vediamo. A Novara sono stato bene, c’è tanta gente che mi vuole bene e la società è nuova, seria e ambiziosa. Non sarebbe un vero e proprio ritorno. Sarebbe una bella opportunità».