In questi giorni, gli oltre tre milioni di abitanti della trafficatissima Buenos Aires, hanno tutti altri pensieri in testa. Anche Matias Ezequiel Schelotto, seppure, unico residente nella gigantesca capitale argentina, oltre al trionfo Mondiale della Seleccion vorrebbe che il giorno prima il Cesena battesse l’Alessandria e che il venerdì successivo i bianconeri facessero il colpo a Carrara. Il Galgo è stato l’ultimo calciatore italo-argentino a vincere il campionato di Serie C con la maglia del Cavalluccio nell’ormai lontana stagione 2008-2009 e ora sogna di cedere il testimone a un altro italo-argentino nato proprio a Buenos Aires, che magari nel girone di ritorno sogna di diventare decisivo proprio come lo fu Schelotto, autore del “gol-promozione” nel derby di Ferrara 13 anni fa: «Non conosco personalmente Ferrante – comincia Schelotto – ma l’ho seguito in passato e lo sto seguendo ora. Diciamo che sta vivendo una situazione simile alla mia quando arrivai a Cesena: io aspettavo con impazienza il transfer per poter giocare, lui aspetta con impazienza di segnare. È un grande attaccante, se gioca con la fame e la carica che avevo io, comincia a fare gol e non si ferma più».
Schelotto, quindi lei sta seguendo con interesse il campionato del Cesena?
«Certo. Sono tesserato con l’Aldosivi, una squadra della Primera Division argentina, ma vorrei tornare presto a casa e quindi mi tengo informato e seguo il Cesena. La Romagna è casa mia».
Se ripensa alla sua esperienza in bianconero, cosa le viene in mente?
«Tanta gioia, tanta soddisfazione ma anche tante lacrime. Quando arrivai nell’estate 2008, il Cesena era appena retrocesso in Serie C, ma fui costretto ad aspettare a lungo prima di poter giocare. Il primo anno fu difficile soprattutto per questo, poi ho cominciato a giocare e mi sono ambientato velocemente. Ho ancora tanti amici a Cesena, alcuni tifosi ancora mi scrivono, anche se purtroppo ho perso la Bru (la storica tifosa Brunella Ortolani, grande amica di Schelotto, ndr), che mi voleva tanto bene. Se chiudo gli occhi, il primo pensiero va a lei e al gol contro la Spal, una vera liberazione. Lo ricordo ancora perfettamente: punizione lunga di Tonucci, sponda di Sacilotto e deviazione vincente sul secondo palo. Mi arrampicai sulla rete per andare a esultare con la mia famiglia, rischiando le dita. Da lì è cominciato un percorso bellissimo e unico».
In B lei si consacrò assieme a tanti altri compagni al debutto.
«Fu l’anno della consacrazione soprattutto per il Cesena. Vincemmo un campionato difficilissimo in cui c’erano squadroni del calibro di Torino, Lecce, Reggina, Sassuolo, Brescia. Noi eravamo il piccolo Cesena, la matricola che doveva solo salvarsi, ma Bisoli fece la differenza perché era carico come una molla. Il primo giorno ci disse: “Voglio undici leoni in campo e undici leoni fuori”. Con umiltà e piedi per terra, ci siamo esaltati. Quando abbiamo vinto a Lecce, tutti abbiamo capito che saremmo stati promossi».
Poi arrivò il debutto in A.
«Ficcadenti era molto diverso da Bisoli, ma il Cesena era sempre una grande famiglia. Il debutto in A, a 21 anni, contro Totti all’Olimpico è il terzo più bel ricordo della mia esperienza».
Lei in Italia ha poi indossato altre maglie, ma con Cesena il legame è rimasto vivo. Come mai?
«Cesena è un posto unico e lo metto in testa proprio perché non ho mai più vissuto come da voi. Sono stato all’Inter, all’Atalanta, al Sassuolo, al Chievo, in Portogallo e in Inghilterra. Ma Cesena è l’unica città che mi ha accolto come un figlio».
Oggi chi abita a Cesena della sua numerosa famiglia?
«Mio fratello Gabriel, ogni tanto i miei genitori lo vanno a trovare. E quando potevo, venivo anche io. È da cinque anni che non torno, perché ho giocato in Portogallo, in Inghilterra e ora in Argentina, ma ho ancora le maglie del Cesena nelle mie case di Como e di Cernobbio».
Il Cesena le ha aperto le porte della A e anche della Nazionale.
«Il Cesena mi ha permesso di entrare in un mondo che sognavo da bambino. Giocare con la Nazionale italiana è stato il punto più alto, inarrivabile. Ho sfiorato l’Europeo nel 2012 con Giaccherini. Ricordo che Prandelli mi diceva che mi sarei dovuto trasformare in terzino, ma a me piaceva fare l’esterno alto perché stavo più vicino alla porta. Poi ho segnato alla prima partita con l’Inter nel derby, addirittura di testa, su cross di Nagatomo. Alvarez mi disse: “Se segni, devi farti un tatuaggio”. E mi sono tatuato la data del derby: 24 febbraio 2013».
Come mai, dopo le esperienze in Inghilterra e in Portogallo, è tornato in Argentina?
«Tornare in Argentina è stata una scelta di vita, volevo stare vicino a casa, ai miei fratelli, a mia moglie che è argentina, a nostra figlia, che è nata in Inghilterra. A 31 anni volevo provare un’altra esperienza, ma al Racing, dopo sei mesi, mi sono fatto male al ginocchio e sono stato fermo un anno. Ora sto bene, sono ancora integro, ho la testa a posto e ho voglia di vincere».
Ce l’ha un sogno?
«Sì, finire la carriera a Cesena. Non conosco la società, però mi piacerebbe finire la mia carriera dove tutto è cominciato».