Lorenzo Gonnelli, dopo 11 giornate il Cesena ha la miglior difesa del campionato. Dall’alto della sua esperienza, cosa significa?
«Significa che il lavoro paga. Io, Ciofi e Favale lo facciamo da un anno e ora abbiamo coinvolto velocemente tutti gli altri compagni arrivati quest’estate. Ma non è un primato che riguarda solo noi. Bortolussi è il nostro primo difensore, poi ci sono Caturano e infine i centrocampisti. Il bello di questa squadra è che tutti hanno voglia di fare un sacrificio in più per i compagni».
Ma qual è il segreto di questo primato?
«Non c’è un segreto, c’è un modo innovativo di difendere. Noi guardiamo più la palla dell’attaccante, cioè difendiamo sul pallone e non sull’uomo. Questo ti permette di essere meno condizionato dalla forza dell’attaccante e soprattutto dalle sue caratteristiche, che riusciamo ad assorbire difendendo in modo diverso».
Passiamo brevemente in rassegna i suoi compagni più giovani. Ciofi è cambiato rispetto a un anno fa?
«Andrea lo conoscete meglio voi di me. Siamo nati entrambi lo stesso giorno, il 28 giugno, e c’è una grandissima intesa. Ha 22 anni, ma è una garanzia e sa fare qualsiasi cosa».
Mulè?
«E’ un ragazzo serio, molto introverso. Sull’uomo è insuperabile, sente la marcatura, usa il fisico, è veloce. Quando la palla ce l’hanno gli altri e andiamo in pressing, è dura saltarlo».
Pogliano?
«Cesare lo conoscevo poco, ma è stato bravissimo ad entrare subito nei nostri meccanismi pur essendo arrivato per ultimo. E’ la sintesi di tutti, nel senso che è un mix delle nostre migliori caratteristiche. In più è un ragazzo molto intelligente».
Lei invece come sta?
«Ora mi sento bene, finalmente. L’infiammazione al ginocchio non è stata una passeggiata».
Cosa le è successo esattamente?
«Il giovedì prima di Lucca, quando preparavo il mio debutto (contro il Gubbio, alla prima giornata, Gonnelli era squalificato, ndr), ho fatto un salto in allenamento e mi sono bloccato, non riuscivo più a correre. Ero sicuro che non si trattava del legamento, perché non avevo fatto movimenti strani, ma il male non se ne andava. In pratica il ginocchio non aveva alcuna lesione, ma io non riuscivo a correre e così ho perso diverse settimane. Ma ora abbiamo trovato la cura e da 20-25 giorni sto bene».
Ha sofferto durante le prime settimane di campionato?
«Mi davo fastidio da solo da quanto ero scorbutico. Sono stato intrattabile, lo ammetto, specialmente quando andavo a Villa Silvia senza poter scendere in campo. E’ come se portassi mia figlia al parco giochi per poi dirle di non poter fare nulla, si arrabbierebbe anche lei».
Rispetto a un anno fa, il Cesena quanto è cresciuto?
«Tanto. La conferma della spina dorsale è stata la chiave. Poi sono arrivate persone serie, che si sono messe a disposizione, e che hanno saputo ascoltare. Il nostro fuoriclasse è il gruppo e noi dobbiamo puntare su questo. Reggiana e Modena, tanto per fare due nomi, hanno alcuni giocatori formidabili e giocano per vincere il campionato. Noi giochiamo per vincere alla domenica, invece. Da noi entra Tonin e segna, debutta da titolare Brambilla ed è il migliore, gioca Berti e fornisce l’assist. Non viene mai nulla per caso, poi naturalmente dobbiamo migliorare».
Dove?
«Nella gestione di alcuni momenti della partita, dobbiamo capire meglio alcune fasi. Quando buttare via una palla, quando provare a perdere qualche secondo, quando gestire il gas. In questo non siamo ancora una squadra matura come altre, ma ci possiamo e dobbiamo arrivare».
Che idea si è fatto di questo campionato?
«Intanto che gioco una quantità infinita di derby, essendo toscano. Alla lunga verranno fuori tutte, a cominciare dall’Entella. Il Modena ha fatto 9 punti nelle ultime tre giornate ed è risalito. La Reggiana è prima, arriverà anche il Pescara. Davanti è un campionato molto equilibrato».
Da livornese c’è rivalità con la Pistoiese?
«No. E poi a Pistoia c’è un mio grande amico: Francesco Valiani. Siamo stati insieme due anni e mezzo a Livorno, mi ha insegnato tanto, è una persona squisita, non è facile trovare un ragazzo così nel mondo del calcio. A 40 anni gioca ancora ed è ancora un motorino».
Lei è un giocatore molto “caldo” in campo. Cosa prova, dopo un anno a porte chiuse, a giocare con i tifosi?
«Non vedevo l’ora di vedere un Manuzzi così, io sono venuto a Cesena anche per questo. A 20 anni a Livorno c’erano 8000 persone, me ne sono andato che allo stadio non ci andava più nessuno. Giocare senza pubblico è un altro sport, per il Cesena ancora di più. L’anno scorso dovevo caricarmi da solo e non era facile, ora devo solo stare sereno, perché è il pubblico a caricarti. E’ il bello di questo sport e di questa città».