Calcio C, Cesena-Reggiana e la presenza di chi non c'era: tanti auguri Maciste

Magari sarà anche vero che quella di ieri non è stata la madre di tutte le partite, anche se per l’ultras medio del Cesena doveva almeno essere la Mare di tutte le partite. Sta di fatto che la Reggiana se l’è portata a casa con merito dopo una recita di alto livello, dove Toscano e Diana hanno fatta a gara a «Io blocco te e tu blocchi me». Così è andata a finire che se la sono giocata i singoli e ai singoli ha vinto la Reggiana. Torna in mente la dedica di un vecchio disco di Vinicio Capossela: “Dedicato all’assenza di chi c’era e alla presenza di chi non c’era”. Il Cesena in estate ha preso Corazza, Ferrante e compagnia per vincere partite come quella di ieri, dove tatticamente non sbaglia quasi nessuno e toccherebbe ai costosi solisti. Niente da fare. Tutto l'attacco di Toscano non è uscito dagli spogliatoi e Diana ha iniziato da qui per vincerla.

Alla vigilia, la Reggiana partiva da +4, eppure la pressione vera era sulla capolista. Il Cesena ieri si giocava una bella fetta di campionato, mentre la Reggiana di campionati se ne gioca due, visto che ci prova da due anni. E ancora: emotivamente Diana sembra soffrire la pressione, mentre un lupaccio come Toscano sotto pressione sbadiglia e ci sguazza, però ieri nella gestione della partita non ha convinto, a partire da Bianchi sotto le punte fino al cambio Ferrante-Shpendi.

Passiamo alla presenza di chi non c’era. Oggi Bruno Bolchi avrebbe compiuto 83 anni. Era nato il 21 febbraio 1940 ed era espressione di un calcio antico, con quella faccia da vecchio saggio che si è portato dietro per una vita. Per esempio, se si riguardano certe foto di 40 (porca miseria, quaranta) anni fa, si vede Maciste Bolchi in panchina nella sua prima esperienza in A con il Cesena. Era il campionato 1982-’83 e l’allenatore Bolchi aveva 42 anni, gli stessi del giocatore Francesco Antonioli nella sua ultima stagione in porta (2011-2012). Se si confrontano i look dei due 42enni, Bolchi sembra lo zio che porta in auto al concerto dei Metallica un nipote rockettaro convinto come Antonioli.
Il carisma di Bruno Bolchi lo capivi da un dato elementare: gli davano quasi tutti del lei, a parte pochi eletti (Emilio Bonci, Vittorio Casali, Giampiero Ceccarelli, Pier Luigi Cera). Lo stesso Edmeo Lugaresi ricorreva al “lei”, prontamente ricambiato da Maciste. Nelle trasferte in B, un sultano delle panchine come Bolchi era il più gettonato nei saluti degli addetti allo stadio e in particolare in certe piazze era difficile districarsi da chi vuole attaccare bottone. Per esempio a Salerno: conferenza stampa dopo Salernitana-Cesena 5-2, con Bolchi che ha il buonumore di una constatazione amichevole dopo un tamponamento e vorrebbe fuggire nel pullman. Un addetto dello stadio lo blocca a fine interviste e parte un dialogo in sala stampa che in pochi ricordano.
“Mister Bolchi, carissimo, si ricorda di me?”.
“Ah, beh… ma certo… come no, tutto bene? Ora scusi, ma devo andare”.
“Come ha visto la Salernitana? Bella squadra eh?”.
“Beh, ce ne ha fatti 5, l’ho vista bene per forza. La saluto, arrivederci”.
“E Pisano? Bel centravanti vero?”.
“Verissimo, buone cose, di nuovo: arrivederci”.
“Mister, una cosa, ormai ci conosciamo da tempo, quindi…”.
“Quindi? Mi dica per favore che devo andare sul pullman con la squadra”.
“Ecco… per me sarebbe un grande onore poterla chiamare Bruno”.
“Allora direi che siamo fortunati”.
“In che senso?”.
“È una fortuna che io mi chiami proprio Bruno. Mi chiami pure così allora. La saluto”.

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