Il Cesena, una certa idea di calcio e la fortuna di una scivolata a vuoto

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Viene in mente uno storico sfogo di Massimiliano Allegri: “Vedo squadre che giocano solo per far fare bella figura ai loro allenatori”. Esagerato come sempre. Però il tema intriga.

Davide Possanzini da allenatore del Cesena avrebbe successo? Difficile: il suo calcio non è il calcio di Cesena. La costruzione dal basso, il portiere che tocca mille palloni, l’affidarsi in regia ai piedi di volenterosi difensori che però giocano pur sempre nella B italiana e non nel Manchester City. Tutto francamente troppo per il modo di intendere il calcio che c’è qui. Possanzini fa scelte forti, è il suo modo per arrivare a vincere e i fatti sono dalla sua parte, perché il Mantova ha vinto alla grande il girone A della C. Il Mantova punta a vincere con i giocatori al servizio di un’idea. La storia del Cesena ha toccato i picchi più alti quando l’idea era al servizio dei giocatori.

Michele Mignani da allenatore del Cesena può avere successo? Il mese di settembre ha detto di sì, al netto della pericolosità di un campionato equilibratissimo. La sua idea di gioco sta facendo fare bella figura ai giocatori più bravi a giocare a calcio: le luci della ribalta non sono per mediani o difensori, ma per Shpendi, Kargbo, Berti e ora Antonucci. Il quarto posto nasce da un’impalcatura di gioco che senza estremismi valorizza il talento.

Ad essere sinceri, allenare qui non è semplice. Sfogliando gli almanacchi, Cesena ha esaltato Osvaldo Bagnoli e Bruno Bolchi e ha respinto Arrigo Sacchi come un fanatico visionario; si è identificata nello spirito di Fabrizio Castori e Pierpaolo Bisoli, bocciando innovatori degli anni 90 e 2000 come Attilio Perotti o Marco Giampaolo.

Non solo: oggi i riflettori sono sui talenti più puri, però la storia ci dice che qui sono diventati idoli giocatori tutta grinta che in certi momenti della partita, più che il calcio totale, applicavano il falcio totale. Negli occhi rimangono certe entrate di Davor Jozic che a mali estremi alzava una gamba a 90 gradi per fermare Van Basten o Careca. Più avanti nel tempo, c’erano momenti della partita in cui Manolo Pestrin o Manuel Coppola decidevano che era ora di dare una scossa e partivano contrasti ortopedici che negli anni 90 avrebbero fatto la fortuna di Luciano Onder quando conduceva “Medicina 33” dopo il Tg2.

Il pubblico ha sempre apprezzato giocatori di questo tipo, giocatori che poi non erano mica solo fabbri da gioco duro. In particolare Davor Jozic fu un difensore di livello assoluto, il duro di maggior talento mai visto, leader della Jugoslavia eliminata ai quarti ai Mondiali del 1990 dall’Argentina di Maradona. In ossequio alla scuola slava, a Jozic bastano poche parole per farsi capire. Giusto per fare un esempio, Davor a fine carriera si è fermato a Cesena e per anni ha partecipato alle partite di una selezione di vecchie glorie allestita dall’indimenticato Giorgio Mazzotti al Fiorenzuola. Una sera di una quindicina di anni fa, le vecchie glorie sfidarono una selezione di ragazzotti animati da una legittima voglia di vincere. La gara iniziò ad incattivirsi con una serie di entrate un po’ così. Ad un certo punto la palla arrivò a Jozic, che alzò la testa e notò che alla sua destra stava arrivando un avversario fumante in scivolata aggressiva, con il piede bello alto a puntare la sua tibia. Passetto indietro di Jozic palla al piede e l’aggressivo scivolante gli sfilò davanti come un aratro. Il kamikaze che aveva mancato il bersaglio era ancora steso a terra e Davor gli si avvicinò mormorandogli giusto quattro parole.

“Tu oggi molto fortunato”.

Poi passò la palla sulla destra e fece ripartire l’azione.

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