Il Cesena, lo spareggio di San Benedetto e il poeta fragile della fascia

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Gli Europei hanno rispolverato i Beatles e quando il tifo dell’Inghilterra canta “Hey Jude” mentre Bellingham danza col pallone, fa sempre un certo effetto. Poi c’è stato anche un tempo in cui Paul McCartney fu l’antesignano di Lucio di Cesenatico (Louis from Cesenatico per gli anglofoni del pop) e quel tempo compie 37 anni proprio oggi. Anche 37 anni fa era l’8 luglio, per la precisione l’8 luglio 1987, il giorno dello spareggio per la Serie A tra Cesena e Lecce. Allo stadio di San Benedetto del Tronto il tifo del Cesena è in netta minoranza e canta “Lecce in B” sulle note di “Let it be”, la colonna sonora di una partita che ha fatto la storia.

C’è la diretta Rai con la telecronaca di Bruno Pizzul, che al suo fianco ha la silenziosa presenza dell’amico Azeglio Vicini. Nella pancia dello stadio c’è un clima elettrico: Carlo Mazzone è un maestro nel caricare le sue squadre e il suo Lecce ha il furore negli occhi di chi è favorito e vuole prendersi la A. Negli spogliatoi, in sottofondo ci sono i cori dei tifosi del Lecce confusi con “Romagna mia”, mentre l’arbitro entra nello spogliatoio del Cesena per l’appello. È il migliore arbitro possibile, si chiama Paolo Casarin, un duro di gran classe, una garanzia. Apre la porta e saluta Bolchi, ma già si vede che è di pessimo umore. Punta dritto su Alberto Cavasin. E il dialogo più o meno è andato così

Casarin: “Tu gran testa di cazzo oggi non fai scemenze. Tu fai il bravo, hai capito? Qui ci sono 20.000 persone che invadono e fanno un gran casino se voi non fate i bravi, e tu oggi stai al tuo posto e pensi solo a giocare. Mi sono spiegato?”.

Cavasin digrigna i denti. È rimasto in silenzio a fissare Casarin mentre parlava. Aspetta che abbia finito, poi parte a tutto volume. Ora lì sotto i cori dei tifosi non si sentono più, si sente solo il Cava, con il naso a cinque centimetri dall’arbitro più famoso d’Italia: “Io oggi vinco. Io vinco. Io devo comprare il prosciutto a mio figlio. Noi oggi andiamo lì dentro e facciamo la battaglia. In serie A ci andiamo noi. Ci andiamo noi, hai capito?”.

Casarin: “Bene, ora andiamo pure con l’appello. Allora, Rossi dov’è...?”.

Palla al centro e nei primi minuti è un trionfo di falli e fallacci, con Mazzone che scalda la gola e gioca anche lui a suon di urla. Invece segna subito Bordin per l’1-0 del Cesena, con Cavasin che passa davanti a Mazzone e butta benzina nell’Etna: “Urla pure, che tanto facciamo gol noi”. Il Lecce pareggia con Panero prima dell’intervallo, poi il gol che vale la Serie A sarà di Agatino Cuttone, che si tuffa di testa su cross del numero 7 del Cesena, l’entità più vicina a Bruno Conti mai vista da queste parti. Il numero 7 si chiama Fabio Aselli, il poeta della fascia destra con un carattere di cristallo che Bruno Bolchi sa come proteggere. Il problema di Aselli è che dopo avere portato il Cesena in A, Bolchi saluta e lascia la panchina ad Albertino Bigon, che per la fascia destra è stuzzicato dalla crescita di Alessandro Bianchi e Aselli intuisce che butta male. Bianchi dopo un anno decolla verso l’Inter e Aselli ora deve giocarsela con Odoacre Chierico, ma quando vede che a volte Bigon gli preferisce sulla fascia lo stopper Roberto Chiti, il cristallo si rompe e l’autostima rotola nello scantinato. Il poeta che dipinse calcio a San Benedetto non c’è più, al suo posto c’è un ragazzo triste che senza la figura paterna di Bolchi sbanda e usa come valvola di sfogo l’amico Achille, che lo accompagna nei ritiri all’hotel Abners di Riccione: “Quando sei importante come calciatore, tutti si interessano a te. Quando non sei più la stella, nessuno si interessa di te come persona”. Ha seppellito nella cenere della malinconia un piede da dribbling che non aveva nessuno: resta il ricordo di quel cross che spense la voce di Mazzone e accese l’interruttore su 4 anni di Cesena in Serie A, lo stesso cross che ha fatto costruire uno stadio nuovo, il più bello della Romagna. Non ha fatto la carriera che il suo talento pretendeva, ma alla lunga ha saputo solcare le onde di un periodo difficile, la migliore vittoria in rimonta di un ex ragazzo fragile per cui calzano a pennello le parole di un grande scrittore come Gabriele Romagnoli. I più sensibili tra noi sono anche i più spietati: hanno imparato che per sopravvivere bisogna impedirsi di ricordare.

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