Il Cesena, i giovani col futuro in mano e i vecchi che meritavano un finale diverso

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Il Padova vuole fare una grande stagione in C. Di conseguenza, Cesena-Padova ha confermato che la Serie C non è più il campionato di Berti, Kargbo e Shpendi. A tratti hanno fatto quello che volevano contro una aspirante ai piani altissimi, quindi il primo passo è compiuto. Non sono più da C e ora devono dimostrare di essere da B, scavalcando prima possibile la terra di mezzo dei mezzi giocatori, quelli che iniziano il campionato del piano di sopra, ci sbattono il muso e poi a gennaio devono cercare squadra al piano di sotto. Ma se tengono questi occhi accesi, non succederà.

In attesa di capire più a fondo cosa potranno dare i nuovi, mette tristezza la parabola di alcuni vecchi. Sarà pure il calcio che va così, sarà pure che i veri problemi di chi lavora sono altri, che i calciatori hanno stipendi al di fuori da ogni contesto e quindi devono accettare tutto e così via. Però resta ingenerosa la parabola di Silvestri, De Rose, Varone e Corazza. Per decenni siamo stati abituati a un tipo di calcio in cui ai margini della rosa finivano le teste secche, quelle che creavano problemi in gruppo. Ora ai margini non vanno più i problematici a livello caratteriale, ma i problematici a livello tecnico e contrattuale, comprese le anime sane di un gruppo sano da 96 punti, figlio di un attaccamento vero alla maglia. Per tutto quello che hanno dato, meritavano un finale diverso.

A proposito della maglia. Quella di questa stagione è davvero spiazzante, in linea con un panorama che tra A e B ci ha fatto vedere un po’ di tutto negli ultimi anni, dall’Atalanta in giallonero fino al Cagliari verde fluo. A chi gradisce la maglia di quest’anno come un dito in un occhio, si può ricordare che hanno compiuto 30 anni le maglie più ardite mai indossate da queste parti. Era l’estate 1994 e l’Adidas scelse il Cesena come cavia trattandolo da succursale del circo Togni, esportando la maglia a stelle indossata poche settimane prima dalla Nazionale degli Stati Uniti ai Mondiali. Non sazi di quel tripudio di stelle, la primissima versione prevedeva pure un pantaloncino fru-fru color grigio topo, almeno quello saggiamente abbandonato dopo la prima amichevole, dirottando su un canonico nero.

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Incurante delle critiche, quella maglia a stelle resistette per tutto un campionato, vestendo le corse del penultimo Piraccini (avrebbe smesso l’anno dopo) e del primo Ambrosini. Anche allora imperversò un bel dibattito, con una maggioranza bulgara a decretarne la bocciatura. Poi il tempo aiuta a digerire tutto, sono passati tre decenni e come spesso accade, tutto quello che ci sembrava orrendo trenta anni fa, oggi è diventato mitico, come le canzoni dei Ricchi e Poveri o i film di Alvaro Vitali. Non resta che stringere i denti e fare passare il tempo. Appuntamento al 2054, quando la maglia di Marco Curto in Cesena-Padova 3-1 di Coppa varrà un capitale su e-bay, col sottofondo delle mitiche “Pazzo di te” di Renga e Nek e “Il cielo non ci vuole” di Fred De Palma, frettolosamente disintegrate dalla classifica di quel vecchio festival di Sanremo 2024.

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