Brescia-Cesena e il ripasso per non dimenticare da dove si viene

In fondo era un buon momento per andare a Brescia, invece il Cesena si è messo a giocare in modo triste, con un Mignani per una volta un po’ lento a metterci le mani. Alla resa dei conti, ieri c’è stata un’ultima dimostrazione che il sesto posto è un capolavoro per chi non ha una sua forte personalità sul piano del gioco. Il Cesena ha un’anima, sa soffrire di gruppo e a volte è stato sorprendente nell’adeguarsi al livello dei più forti (in casa di Sassuolo e Spezia ha giocato alla grandissima), ma quando c’è da prendere in mano la partita con autorità, siamo ancora alla prima pagina del manuale. Tutto questo dà ancora più valore ad ogni punto raccolto fin qui: 41 punti sono il premio a una squadra che ha creduto in primis nel suo allenatore e poi in un lavoro serio fatto insieme.
Ricorderemo Brescia-Cesena come una partita modesta in uno stadio allegro come il cantiere tra Verghereto e Canili sulla E45, una nuova ferita per un tema della sicurezza dove il più delle volte si litiga a suon di ripicche e quando si dialoga è un mezzo miracolo. Ma soprattutto Brescia-Cesena aiuta a non dimenticare da dove si viene. Si può discutere all’infinito sul momentaccio di Shpendi, ma senza scordarsi di alzare lo sguardo verso l’altra metà campo. Nell’estate 2024, il Brescia ha riscattato dal Frosinone il centravanti Gennaro Borrelli (25 presenze, 3 gol) pagandolo 3,8 milioni. Shpendi (25 presenze, 10 gol) è costato 2.500 euro, l’equivalente dello skypass per 4 persone in una settimana a Madonna di Campiglio.
Il Cesena resta la migliore neopromossa del campionato, una medaglia in più per chi sette anni fa era ancora in D e iniziò pure prendendo qualche schiaffo. Perché va bene essere umili, va bene non tirarsela, ma a quei tempi a volte era davvero dura. Qualcuno si ricorda per esempio Savignanese-Cesena di Coppa Italia D? Vinse con merito la Savignanese per 2-0, si giocava a Cesenatico ed era il 2 settembre 2018. In mezzo ai nuovi soci con l’allora presidente Augusto Patrignani, c’era pure il presidente del Panathlon Dionigio Dionigi, membro del comitato voluto dal sindaco Paolo Lucchi per ripartire dopo il fallimento. Dionigi ha una età indefinibile (diciamo tra i 35 anni di Fedez e i 94 di Clint Eastwood), in più come tanti ha il problema di avere visto il Magdeburgo e diverse altre cose. Quel giorno a Cesenatico erano tutti preparati che quello era un cantiere aperto, che Alessandro e Ricciardo avevano appena disfatto le valigie eccetera eccetera. Se lo ripetevano tutti in tribuna. Conta fino ad un certo punto. Gol di Giacobbi, 1-0 Savignanese. Ma tanto è il campionato che conta. Gol di Vandi, Savignanese 2-0. Pazienza, brava Savignanese. In quel decoubertiniano dibattito pieno di onore ai vinti e ai vincitori, spiccava un Dionigi dal viso verde ramarro, proteso col pensiero al suo lunedì mattina e alla platea di colleghi e dipendenti di Rimini che avrebbero fatto a spintoni per essere i primi a salutarlo. Abbandonò platealmente la sedia dello stadio all’80’, facendosi largo tra i soci e chiedendo permesso verso l’uscita. Patrignani davanti a tutti provò a trattenerlo.
“Dionigio dove vai? Vai via 10 minuti prima?”.
“Non vado via 10 minuti prima, vado via 80 minuti dopo”.