Ma la vera Unieuro è quella leonina ammirata contro Verona o quella moscia travolta a Brindisi?
«Ci serva da lezione, questo è un campionato nel quale se non entri in campo con atteggiamento, concentrazione e cattiveria giuste, si rischia di fare brutte figure. Mi auguro che non accada mai più e resti solo uno spiacevole episodio».
In poche parole, dette in coda alla conferenza stampa del PalaPentassuglia, Antimo Martino, dà tutto il senso della disfatta della squadra biancorossa a Brindisi. Sì, perché di disfatta s’è trattato e mai in più di due anni sulla panchina forlivese, il tecnico di Isernia era apparso così abbattuto e sconfortato dalla prestazione della squadra. Neppure a Verona nel girone d’andata della scorsa stagione, quando l’Unieuro giocò male e al termine il suo timoniere diede un messaggio simile, ma non identico.
Anche allora fece richiamo all’energia e all’intensità necessarie per essere competitivi ad alto livello, ma nel contesto di un match di sofferenza dei suoi. Non di remissività. Ed è proprio questa l’immagine che nessuno e per primo un allenatore come lui, può accettare. Tanto più perché è incomprensibile il repentino passaggio da una partita combattutissima e vinta di determinazione, applicazione, concentrazione, come quella contro la Tezenis a una di tenore opposto come quella di Brindisi.
Campanello d’allarme?
Sì, ed è bene che risuoni così da essere ascoltato. Allarme legato ancor prima alla mentalità che al gioco, perché se sulle carenze di talento individuale dell’Unieuro di quest’anno si potrebbe discutere all’infinito, le fondamenta della squadra devono essere sempre e comunque quelle della durezza e della combattività. Senza quelle, crollerebbe tutto.
Fortunatamente il calendario rigetta subito in campo i romagnoli e prevede la sfida a un’altra squadra in cerca di identità come Pesaro. Un derby da vivere in casa e davanti alle telecamere di Rai Sport (si gioca alle 21): serve un’altra immagine dell’Unieuro, con o senza (probabile) Dawson in campo. Serve qualcosa in più da tutti, ma ora come non mai a partire da Harper. Non è mai stato un tiratore, neppure troppo continuo e abituato a fare la “prima punta”, però non può essere quello di questo pallido avvio di campionato nel quale il conto delle sue titubanze (2.8 perse di media) e dei suoi errori (38% da due e 21% da tre sinora) supera quello delle giocate utili e importanti. Ci sono state, vedi la rimonta su Verona, ma non sono mai andate oltre la categoria “sprazzi”.
Se può essere un leader per Forlì, è il momento di dimostrarlo, altrimenti significherà che non ne ha le caratteristiche. Il “se vuoi, puoi”, nella vita vera non esiste. C’è solo il “puoi se sai”. Ed è quello che Harper deve dimostrare. Non solo lui, ma guardando il campionato anche in prospettiva, lui per primo.