Venerus incanta Verucchio: «A me piace che la musica parli da sé»

di ELEONORA ROSSINI

È la prima volta per lui sul palco del Verucchio festival. Venerus suona sul sagrato della chiesa Collegiata del borgo, in un clima che lui stesso definisce «stretto, caldo e intimo» e che si fa sempre più raccolto a mano a mano che le luci della notte si accendono sulla Valmarecchia. Prima della sua performance di giovedì 25 luglio si racconta volentieri al Corriere Romagna.

Un concerto all’aperto, sul sagrato di una chiesa: c’è una scalinata, uno spiazzo e attorno solo le colline e la natura. È un ambiente molto diverso rispetto ai club che ha frequentato per il tour del tuo ultimo album, “Il segreto”. Le caratteristiche dei luoghi in cui si esibisce influenzano la sua performance e il modo in cui si pone con il pubblico?

«Certamente, perché è sempre un po’ una sorta di reazione chimica, non sei tu che ti imponi sulla situazione, almeno per come la vivo io. È sempre una commistione tra noi che siamo sul palco e il luogo, le persone. Ricerco molto questo scambio. Sono curioso di sperimentare a Verucchio una situazione diversa dalle altre, che rimangono comunque molto varie. Questo palco mi ricorda alcuni scenari in cui mi sono trovato qualche anno fa e di cui ho un ricordo molto speciale. Sono contento di partecipare al festival».

Quest’anno ha girato tantissimo per portare il tour in tutta Italia. Riesce mai a visitare i posti in cui si esibisce? Che cosa la interessa scoprire?

«Cerco di trovare l’occasione quando è possibile. In tour si è sempre in movimento e a volte non ci si trattiene per più di qualche ora nella stessa città. Quando mi capita di trovarmi in un posto e avere un paio di giorni per farmi dei giri mi piace scoprire come si vivono i luoghi le persone, perché ogni luogo ha i propri segreti. Mi interessa più questo rispetto agli itinerari turistici. Certo, mi piace anche mangiare. Ricerco anche e sempre la natura, quella più incontaminata».

E la natura ha un ruolo nel suo processo creativo?

«Idealmente sì, anche se vivendo a Milano non me la vivo al massimo. Come direzione però di sicuro: sono convinto che la mia vita mi porterà ad avvicinarmi sempre di più alla natura. Cerco di mantenerci un rapporto, il più vivo possibile. Mi piace ritagliarmi del tempo per viaggiare e scoprire».

A proposito invece del suo processo di scrittura, ha una metodologia precisa? Parte da qualcosa in particolare di solito o ogni volta è diverso?

«No, è una guerra. Non seguo un processo lineare e non sono neanche convinto al cento per cento di essere unicamente una persona creativa: in me convivono diverse parti, alcune anche molto pratiche. Quando si cresce si cambia, cambiano gli input e cambia anche il modo in cui vivi le cose. Bisogna cercare di capire dove si vuole andare, come si vuole crescere, come sfruttare le esperienze che si vivono. Io cerco sempre di mettere della vita nei miei pezzi: per me è fondamentale. La musica fine a se stessa non mi comunica niente, per questo cerco di aggiungere quella scintilla, che può arrivare un po’ da qualsiasi cosa, non c’è una strada unica».

Quello che a molti piace dei suoi testi è che sono sempre molto intimi ma mai autoreferenziali, arrivano a tutti.

«Credo sia una questione di consapevolezza: quando una canzone esce è di tutti. È una possibilità e per un artista può anche rappresentare un vantaggio. Non in termini pratici, ma in termini di empatia. Forse alla fine il mio compito è cercare di parlare a più persone possibili e per farlo parto anche da cose che vivo io e cerco di astrarle per renderle più universali».

Ha un pezzo di cui va particolarmente fiero, a cui è più affezionato?

«Ce ne sono tanti in realtà e stanno aumentando perché sto lavorando a cose nuove. C’è un pezzo però nell’ultimo disco che si chiama “Il tuo cane” che mi piace molto suonare dal vivo. Mi piace la storia e la narrativa che ha».

Ha detto che sta lavorando a cose nuove. Il suo stile è molto originale e spazia moltissimo. Quali sono le sue influenze? Anche rispetto ai suoi nuovi progetti.

«Quello che sto ascoltando e le mie influenze non vanno necessariamente di pari passo. Da qualche tempo ascolto la musica in due modi: acquisto vinili e dischi o passo per la radio. Ho dei posti di riferimento in cui vado per ascoltare musica che non conosco finché non trovo qualcosa che mi interessi. Può essere qualsiasi cosa. Per quanto riguarda la radio, la ascolto tutti i giorni. Posso dire che ascolto solo musica che non conosco».

Un brano che di recente l’ha colpita?

«“Heavy like air”, del 2022. È passato in radio ieri mattina».

E invece quando suona live come sceglie i suoi musicisti?

«Sono sempre gli stessi. Credo molto nei rapporti umani e credo anche che per andare oltre la musica stessa ci sia bisogno di un reale rapporto con i musicisti. Lavoro con i miei amici da sempre. La band si è evoluta, ma lo zoccolo duro è rimasto lo stesso da anni e sono molto contento di condividere con loro questo viaggio».

Per Venerus la musica è un viaggio, un momento di condivisione, di incontro. «A me piace che la musica parli da sé. Preferisco che siano i concerti a fare emergere le cose piuttosto che dovermi raccontare a parole». E lo ha dimostrato anche nella scelta della scaletta e degli arrangiamenti, adattati all’atmosfera del palco di Verucchio. A fine set però, appoggiato alla scalinata della Collegiata, ha chiacchierato con tutti e ha regalato al suo pubblico un ultimo ricordo speciale, «stretto, caldo e intimo».

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