Paolo Graziosi, Mercuzio per sempre
Che brutta cosa i coccodrilli. Testi che piangono per l'eccessiva abbuffata di vite stroncate e ingoiate in una pagina o una colonna di giornale. Una vita ridotta al suo indice e a qualche illustrazione.
Comincerò allora dalla copertina. La faccia di Paolo è tutta una ruga, il collo sprofondato nel torace. Ti aspetti che esca dal guscio, invece rientra sempre di più, come quando cammina avanti e indietro per imparare a memoria una parte. Già, perché il mestiere dell'attore è primariamente un mestiere di memoria, un ingurgitatore di parole che occupano spazio e si distribuiscono fra cuore, testa e pancia. Un attore deve faticare non poco a riservare una stanza solo per sé, un tavolo riservato, un letto che non sia quello anonimo del millesimo albergo di lusso o della stamberga che lo ospita. Paolo mi sembrava come un barcone da migrantes stracolmo dei suoi personaggi col salvagente ai fianchi. Straniero ovunque, accolto e avvolto in quelle luccicanti e dorate coperte sintetiche che poi si appallottolano come si fa con la carta dell'uovo di Pasqua . Glielo dicevo, non mi piace il tuo mestiere, non ti riconosco, non so più chi sei. Anzi no, mento, per me Paolo è Mercuzio, il più straordinario Mercuzio che mi sia stato dato di vedere quando avevo 22 anni, strafottente e generoso , proprio come era lui. Un ruolo apparentemente secondario nel drammone del Romeo e Giulietta, in realtà personaggio centrale, quello che in nome dell'amicizia sceglie il suo destino, non ne è scelto da qualche perfida divinità. Certo, mi faceva invidia da matti quando nelle cene dopo spettacolo, nel 1964, poteva sedere e scherzare con una giovanissima Anna Maria Guarnieri che a me faceva girare la testa solo a guardarla da quattro o cinque posti più in là nella tavolata. Mi sono sempre chiesto, non gli ho mai chiesto, perché Zeffirelli non lo abbia fatto entrare poi nel cast del film girato nel '68, con John McEnery (che fra l'altro gli assomigliava anche un po', a Paolo), nei panni di Mercuzio, e una sedicenne Oliva Hussey nei panni di Giulietta che alla Guarnieri non faceva neppure un baffo.
Ma al cinema Paolo era condannato proprio dalla sua faccia : una cavalcata, a ogni film una ruga in più, il collo sempre più incassato: La Cina è vicina di Bellocchio (1967), Galileo di Liliana Cavani (68), Cadaveri eccellenti di Rosi (76), Pasolini un delitto italiano di Marco Tullio Giordana (95), il Divo di Paolo Sorrentino (2008), Il papà di Giovanna di Pupi Avati (2008) fino all'ultimo Tre piani di Nanni Moretti (2021. Per non citarne che alcuni. Per la televisione non saprei dire, non la guardavo tanto, sapevo della sua amicizia con Cottafavi che gli faceva fare quello che voleva; ma la TV è una bestia che frega. Poi i suoi monologhi teatrali, averlo sentito recitare Ionesco ne "La lezione" , nato a Rimini e per il Meeting di Rimini. Da ultimo voleva che lo aiutassi a montare un monologo felliniano, a partire da "La mia Rimini", ma lui e Fellini erano come la Terra e la luna , non mostravano mai l'altra faccia e per fortuna non se ne fece di nulla.
Ecco, in questo ridicolo indice a stralcio di cose fatte , di palcoscenici calcati, di pellicola girata , se proprio devo ricordarlo in un coccodrillo, direi che Paolo Graziosi è per sempre il Mercuzio ventiquattrenne col collo ben dritto, senza rughe e la parlantina sciolta, che muore troppo presto per eccesso di ardore e di amicizia.