L’arte dell’esperienza, edito dalla Nave di Teseo, è un’autentica riflessione sulla funzione pubblica del lavoro dell’attore. La recitazione è un potentissimo strumento didattico e pedagogico per acquisire competenze emotive: tutti possono imparare a riconoscere i sentimenti umani e le emozioni, ed è un aiuto alla soluzione di urgenze sociali come bullismo e discriminazioni di genere.
L’autore di questo libro è il noto attore Marco Bonini: lo presenterà domani alle 20.30 al Cinepalace Giometti di Riccione. A seguire, dalle 21.30, verrà portato in scena “Povero Ulisse”, scritto e diretto dallo stesso Bonini che, attraverso le vicende dell’eroe, racconta la metafora del maschio occidentale.
Perché Ulisse, che nei suoi viaggi conosce molte donne, dee, semidee, ninfe e mortali, desidera sempre tornare da Penelope, la moglie, a Itaca? E perché è partito dall’amata coniuge? Perché non torna prima? Ne abbiamo parlato con lo stesso Bonini.
Partiamo dal libro, com’è nata l'idea di scriverlo?
«Sono partito dalla mia tesi di laurea in Estetica. Cinque anni fa, essendo testimonial dell’associazione Bagus, sono riuscito a portare l’educazione emotiva tra i più piccoli, facendo corsi e tenendo lezioni, facendo cioè esercizi di drammatizzazione. Inoltre la preparazione di un attore è di dominio pubblico».
Ma l’attività sociale di Bonini non si limita a Bagus.
«Faccio parte di Unita dalla sua nascita (Unione nazionale interpreti teatro e audiovisivo), ritengo che noi attori dobbiamo essere ritenuti lavoratori essenziali».
Nel titolo del libro unisce l’arte e l’esperienza. Come combaciano?
«Gli esseri umani hanno bisogno di rappresentare le emozioni e di vederle rappresentate per riconoscersi e sentirsi meno soli. La recitazione è di fatto l’arte che rappresenta l’esperienza umana».
Qual è lo scopo della recitazione?
«Lo stesso del teatro, ovvero un grande dialogo sociale in cui le persone si confrontano con il senso dell’esperienza. L’artista porta sul palco quest’ultima dopo averne raccolto le varie sfumature».
Lei ritiene di averla assimilata «l’arte dell’esperienza»?
«La sto cercando e spero di riuscirci».
Porterà in scena anche “Povero Ulisse”: perché proprio lui tra i personaggi della mitologia?
«È l’archetipo del maschile. È un navigatore alla ricerca di sé. Ulisse è come noi, spaccato a metà da una spinta verso l’ignoto e la nostalgia di tornare verso casa. Deve decidere se abbandonarsi a ciò che non conosce o tornare verso ciò che sa che c’è».
Lo paragona all’uomo occidentale, ma cos’hanno in comune? E in cosa invece sono molto distanti?
«Quasi tutto in comune. Entrambe sono due spinte necessarie, ovvero condurre questa vita in solitaria seguendo unicamente i propri bisogni e la necessità di tornare a casa».
Cosa si augura arrivi al pubblico?
«Il collegamento tra queste due spinte fortissime».