Fabio De Luigi: “A Santarcangelo si sta immersi in un modo di essere e tutto questo esce nelle cose che faccio”
«Cosa vogliamo dire sul film che non sia stato già detto? Sono reduce da un tour senza tregua, qualche giorno fa ero come lo straccio del benzinaio. Comunque parliamone. Fa sempre piacere».
L’approccio di Fabio De Luigi è ogni volta magico ed entusiasmante, perché il linguaggio che gli è affine è quello dell’ironia, dettata da una disposizione d’animo allo humor, e una delle tante sue innate doti è l’improvvisazione. Ne dà sempre prova, che sia su un palco o in televisione o alla radio, che presenti, reciti, imiti, canti, faccia doppiaggio, diriga un set cinematografico, rilasci un’intervista. Così ogni incontro con questo autore, attore, comico, santarcangiolese doc, classe 1967, diventa un piacevole e intelligente teatrino, tra dialoghi seri, gag e battute nate sul momento e dal momento, cogliendo ogni possibile spunto.
Con lui parliamo del suo ultimo film Dieci giorni con i suoi, regia di Alessandro Genovesi, che è ora nelle sale: De Luigi lo ha presentato in un calendario di dieci giorni conclusosi venerdì sera. È il terzo capitolo della saga iniziata nel 2019 con il remake del film argentino “Mamá se fue de viaje”, “Dieci giorni senza mamma”, e continuata con “Dieci giorni con Babbo Natale” (2020).
«Due pellicole molto amate – ci ha raccontato De Luigi – il sequel ce lo hanno chiesto in tanti, per questo il regista ha deciso di rimettere insieme la banda; e poi raccontare la famiglia è un tema infinito, anche se credo si chiuderà qui, almeno per me».
Si tratta della famiglia Rovelli, padre Carlo (Fabio De Luigi), madre Giulia (Valentina Lodovini) e i figli Camilla, Bianca e Tito, in un soggiorno in Puglia a casa dei futuri consuoceri dove ne succedono di tutti i colori, garanzia di risate.
La casa è bella, le location stupende, un vero spot turistico tra ulivi, mare, cascine, ma questo padre molto apprensivo è assai preoccupato per il futuro della diciottenne figlia Camilla che vi si vorrebbe trasferire per studiare e stare accanto al giovane fidanzatino. Già era titubante ma il soggiorno, spassoso per lo spettatore ma non per lui, lo spinge a un certo punto, dopo tante vicissitudini esilaranti, a gridare: «Io me ne voglio andare da qua e mi porto anche Camilla!».
Protagonista assoluto De Luigi, che anima tutto il film alla sua maniera, e il pubblico accorre per vederlo e applaudirlo. Cresce l’adorazione dei suoi fan, basti vedere l’affluenza record alle presentazioni in cui è acclamato e stretto in un abbraccio di selfie che non finiscono mai. E la storia si ripete, ovunque, dal nord al sud fino alla sua Santarcangelo, dove l’affetto e il calore si mostrano ai massimi livelli. Lui con tutti, così come con noi, dialoga donando la sua innata, amorevole simpatia.
Fabio, com’è presentare un proprio lavoro nella città natale e in cui si vive?
«Ho un po’ di tensione in più qui, per me sono momenti particolari, molto sentiti, perché a Santarcangelo è diverso, è come l’esame della piazza! Quando c’era ancora la mia mamma, era lei a raccogliere le impressioni del dopo film e con malcelato orgoglio mi portava i complimenti ricevuti, poi quando le chiedevo cosa avesse risposto, lei ferma ribadiva “no, io non posso dire niente!”».
Dieci giorni dall’uscita del film e tanti chilometri macinati, esperienza che si ripete ogni volta, come la commenta?
«Mi portano in giro per l’Italia, e vengo mostrato come in una sorta di ostensione del santo! Sono dispiaciuto perché non posso restare a guardare il film così da condividere le emozioni del pubblico e chiedere in diretta se piace. Ho visto tantissime sale piene ma non mi sono mai fermato, del resto i ritmi sono questi e lo impongono».
Del resto è naturale per lei catturare le reazioni degli spettatori. Lo ha fatto per un decennio e ha cominciato la sua carriera proprio in teatro, da solo con un registratore: era la fine degli anni Ottanta, il primo lavoro, “Un titolo comico”, è datato 1991, l’ultimo, “Il bar sotto il mare”, è del 2006, nel mezzo cinque spettacoli tutti fortunatissimi. Quindi è naturale chiedere se tornerà il teatro tra i suoi progetti futuri. Noi lo aspettiamo.
«Sì, è così. Ho cominciato in teatro, come ben sa. E io ero in dialogo col mio registratore, si trattava di un me e un altro me raddoppiato. E quel registratore, così come i nastri, li ho conservati, sono in una teca. Ho fatto dieci anni di cose dal vivo e ho imparato a cavalcare l’onda, a raccogliere la risposta del pubblico. Recitare in un film da questo punto di vista ti rende un po’ più impotente. Il teatro mi piace e mi manca. Dal vivo però tutto va programmato con debito anticipo ed è complicato fare una tournée. Io poi ho sempre fatto una cosa per volta. Certo ci tornerò perché lo voglio e lo farò ma non so dire quando accadrà».
Intanto invece tornerà alla regia, dopo i tre film che ha sceneggiato e diretto: “Tiramisù” (2016), “Tre di troppo” (2023), “50 km all’ora” (2024). Cosa può anticipare?
«Ci sto già lavorando. Lo sto scrivendo e lo girerò qua. Uscirà nel 2025 ma non ho altro da aggiungere al momento».
La voglia di raccontare è forte: da cosa nasce? Dalla sua città che, come lei stesso afferma, ha sviluppato un “brodo” generativo culturale, poetico, fiabesco potente e fruttuoso?
«Non so di preciso cosa mi porto dietro e dentro. Difficile definirlo. So per certo che a Santarcangelo si sta immersi idealmente in un modo di essere. Si viene toccati. E tutto questo esce fuori nelle cose che faccio ed è uno dei motivi per cui desidero impegnarmi per creare e dirigere lavori miei, dove ho la possibilità di fare uscire delle note tutte personali».
Film dopo film ne ha una quarantina all’attivo e dal primo, diretto da Marco Ferreri “Nitrato d’argento” del 1996, sono passati 30 anni. Siamo curiosi di sapere come li guarda e come li vede questi tre decenni sullo schermo.
«Non amo guardarmi indietro. Li vedo lontani. Io certo sono cambiato e non mi riferisco al fatto che si invecchia. Per formazione mia il pensiero di rivedere quello che ho fatto non ce l’ho mai e non lo amo fare, mi può capitare qualche volta quando sto per affrontare qualcosa di nuovo».
Come possiamo chiudere la nostra chiacchierata? Con un messaggio, un augurio?
«Io dico solo grazie e a tutti: State bene!».