Cinquant’anni anni per un festival teatrale sono un traguardo straordinario, una longevità che è merce rara in ambito culturale ma Santarcangelo Festival non è un’eccezione solo in questo, perché quello che nel 1971 è nato come il “Festival internazionale del Teatro in Piazza” fu portatore di innovazione allora così come lo è oggi. Mettere a disposizione la città per fare incontrare gli artisti della scena sperimentale, tra loro e con il pubblico, con uno sguardo allargato al mondo intero, sono state da subito le sue prerogative ed è anche per questo che ha resistito così a lungo, mentre tanti festival nati sulla sua scia sono scomparsi o si sono trasformati in rassegne e vetrine. Un cinquantennio testimonianza non solo della storia del teatro, (di qui sono passati tutti, dai registi più noti ai grandi maestri della contemporaneità, dagli attori alle compagnie più affermate, ai comici, performer e danzatori), ma anche quella della società e del costume.
Il Cinquantennale
Il Festival 2021 che la direzione artistica dei
Motus ha titolato
Santarcangelo Festival 2050. Futuro Fantastico (2° movimento) si aprirà l’8 luglio con un pomeriggio speciale dedicato proprio al “Cinquantennale” che a causa del covid è slittato di un anno. Di fatto un racconto che passa attraverso un libro, un docufilm e una mostra. Il primo
Santarcangelo 50 festival è frutto di anni di ricerca d’archivio e di interviste sulle edizioni dalle origini ad oggi ed è curato dalla docente e storica del teatro
Roberta Ferraresi, (Corraini Edizioni), il secondo,
50 Santarcangelo Festival diretto da
Michele Mellara e
Alessandro Rossi (Mammut Film), già presentato al festival di Venezia, narra cinque decenni attraverso interviste e riprese d’epoca, in gran parte inedite. La mostra,
Santarcangelo ’80 Revisited, ospitata alla Galleria dell’Immagine di Rimini si snoda attraverso foto a cura di Uliano Lucas.
Il volume
Santarcangelo 50 festival ne sintetizza le edizioni aprendo lo sguardo su di esse alla stregua di scatole cinesi. In quella più esterna, accanto al manifesto dell’edizione che apre un ciclo direttivo, tra virgolette, le dichiarazioni dei direttori (15 complessivamente quelli che si sono susseguiti alla guida del festival) e poi il racconto in parole, immagini d’epoca, documenti in copia anastatica, articoli di stampa, disegni, bozzetti, locandine. Due i focus: uno sugli spazi-location sempre altri, cioè non a vocazione teatrale, perché qui un teatro non c’era quando il festival è nato e non c’è ancora, il più delle volte spazi pubblici che si trasformano e si rigenerano; il secondo sul pubblico o meglio sui pubblici che nei decenni si sono sempre integrati tra loro, senza soluzione di continuità, mescolando artisti, critici, operatori, studiosi a giovani, adulti, famiglie, spettatori e abitatori di festival. E tanti mini capitoli dossier, a doppia pagina, definiti “Oltrefestival” e “Data/Stories” per riassumere sinteticamente l’essenza di alcuni tratti della storia, quali il decentramento, l’attività annuale, i dopofestival, gli archivi, le produzioni editoriali, i bilanci, i dati sugli eventi e i protagonisti, le denominazioni.
I nomi nel tempo
Sono proprio questi ultimi, che possono all’apparenza sembrare solo un dato di facciata, in realtà ne definiscono la natura. Un festival come quello santarcangiolese è un organismo vivo che si modifica e si plasma sui mutamenti della società e della cultura che essa esprime, della comunità che lo ospita, dell’organizzazione che lo crea. Le trasformazioni dei nomi ne indicano il carattere sempre in oscillazione fra radicamento e innovazione, persistenza e cambiamento, consapevolezza del proprio passato e volontà di entrare nel futuro.
Necessità di storia
E il libro, come si legge nella prefazione, è mosso da questa tensione permanente per tessere una corrispondenza tra memoria e futuro, perché «la sua profonda volontà di costruire la propria storia continuando a cominciare è la caratteristica che contraddistingue questo progetto nel panorama nazionale e internazionale». Un aspetto garantito dalla natura pubblica della manifestazione grazie alla quale essa può avere la libertà che ha e il carattere corale che ha, riassumendone ed evidenziandone le differenze, le pluralità che qui trovano una fruttuosa sintesi.
Una piattaforma on line
È naturale che un volume, seppur di 300 pagine, non possa raccontare in modo esaustivo 50 anni di una così ampia storiografia (giuridico-amministrativa, politico-sociale, artistico-culturale), non è un caso che la curatrice parli di incompiutezza anticipando che tutto ciò che è rimasto fuori nei prossimi mesi sarà oltre le pagine stampate su una piattaforma on line in un continuo e costante aggiornamento sulla base di una ricerca che non si ferma.