San Mauro Pascoli, crisi della scarpa: «Aiuti per resistere e ripresa nel 2025 ma serve l’export»
Non è un momento positivo per il distretto della scarpa di San Mauro Pascoli, alle prese con un mercato interno che non decolla e un export che perde in doppia cifra. Nelle settimane scorse, a San Mauro Pascoli, in occasione dei 40 anni della scuola del Cercal, è venuta Giovanna Ceolini, presidente di Assocalzaturifici.
Le abbiamo chiesto lo stato di salute del distretto sammaurese, e più in generale del sistema moda e calzature in Italia.
Presidente siamo alle prese con un difficile periodo per il made in Italy del lusso.
Il settore sta soffrendo ma contiamo su un 2025 in ripresa. Le nostre aziende chiedono al governo aiuti, a partire dalla cassa integrazione e nei pagamenti con le banche. Tutto questo in un contesto di generale difficoltà per la situazione internazionale, la crescita delle materie prime e dei costi dell’energia. Contiamo sulla forza e il prestigio del nostro made in Italy, che tutto il mondo ci invidia.
Il distretto di San Mauro Pascoli ha scommesso sul lusso è un vantaggio?
Assolutamente sì. Non possiamo competere sui prezzi bassi, o con nazioni come Cina e India dove lo Stato aiuta tantissimo l’economia. La nostra forza è la qualità, la tracciabilità, la manualità, insieme alle tecnologie. È il bello ciò che ci caratterizza. Un consumatore maturo è attento a questi fattori.
Quanto è importante l’export per il calzaturiero?
È fondamentale, dal momento che circa l’85% va nei mercati esteri. È la nostra salvezza. Anche perché il mercato interno da tempo è in sofferenza, segna un meno in tutto, in quanto le famiglie non hanno abbastanza soldi per comprare un prodotto di target alto come il nostro.
Come vanno le esportazioni?
In Europa è in sofferenza, Germania in primis con -11%. La Francia è col segno più ma lì c’è il gioco dei grossi marchi che non mandano più negli hub in Svizzera ma direttamente a casa loro. Va bene negli Emirati Arabi, Cina, Kazakistan. Anche negli Usa è in flessione, -20% in quantità, e vige una carte incertezza tra le guerre in corso e le elezioni; malgrado questi problemi rimane un mercato importante.
Un tema sul quale Assocalzaturifici spinge molto è fare innamorare i giovani a queste professioni.
È la sfida che abbiamo davanti. I giovani faticano ad avvicinarsi, perché c’è un retaggio negativo sul lavoro manuale. Devono avere lo stimolo di entrare in una fabbrica e vedere quello che avviene. Una volta dentro, sono certa che si innamorano di queste professioni perché il lavoro manuale può dare tante soddisfazioni. Vedere un prodotto dall’inizio alla fine non può che dare felicità, così come ritrovarsi un pezzo di pelle distesa su un tavolo per ritrovarlo in una scarpa finita indossata da un’attrice, una modella o anche dalla signora della porta accanto. Oggi le fabbriche non sono più i luoghi vetusti di un tempo ma ambienti dove la sostenibilità in tutti i suoi aspetti è centrale.
Come vede nel futuro prossimo la calzatura nel nostro Paese?
Dobbiamo credere in questo settore, abbiamo tanto valore aggiunto come manualità e sistema manifatturiero. È importante che lo Stato ci aiuti a superare questo momento.
In definitiva, bicchiere mezzo pieno o vuoto?
Nel 2025 ci aspettiamo un cambiamento. Non ci saranno le produzioni folli del dopo il Covid ma quelle giuste per il mercato del momento. L’importante è crederci e continuare a investire in questo settore.