Rimini. Morti prematuri, il racconto di una madre: “Non chiamateli bambini mai nati”

Rimini

CARLA DINI

«Non chiamateli bambini mai nati». Hanno disperso le sue ceneri nel verde delle montagne emiliane, sotto un albero di ciliegio, poco distante dalla tomba dei bisnonni.

Ai rami ondeggiano acchiappasogni che risuonano al vento.

E ogni primavera i suoi genitori tornano a salutarlo con la speranza che terra e cielo gli siano lievi.

La morte di un neonato viene spesso minimizzata o avvertita come un tabù. Eppure, come spiega l’associazione “Ciao Lapo” che ha formato i sanitari dell’ospedale di Rimini, il «legame con un figlio non è misurabile in giorni».

Una prova con cui fanno i conti anche la 47enne Flavia di Ruscio, e il compagno Paolo Scaffardi, 50 anni quest’anno.

Flavia, come ha vissuto la gravidanza?

«Coincideva con un periodo caotico: la ditta di domotica hotel del mio compagno affrontava le vicissitudini del post Covid. Era il giugno del 2021 quando sono entrata in società e un mese dopo ho scoperto di essere incinta. Ci sentivamo al settimo cielo ma non posso dire di aver vissuto mesi di completa tranquillità».

Quand’è nato Noah?

«Nel cuore della notte, il 3 dicembre 2021, dopo sei mesi di gestazione. La situazione è degenerata all’improvviso per una complicanza e i medici mi hanno sottoposta a un cesareo d’urgenza quando la pressione è schizzata a 200. Noah aveva appena 25 settimane, l’hanno portato in terapia intensiva dove ha resistito poche ore. Paolo gli è rimasto accanto sino alla fine e, seppur intontita dall’anestesia, anch’io ho potuto abbracciarlo. Per quanto straziante, è in quel momento che ho cominciato a elaborare il lutto».

Chi l’ha sostenuta?

«Tutto il reparto, dai medici agli infermieri, inclusa l’associazione “La prima coccola”. L’ospedale fornisce anche la memory box per principi e principesse. Dentro ci sono il ciuccio succhiato dal bimbo e gli abitini: le babbucce, la cuffietta e il lenzuolino che l’ha avvolto. Poi c’è un quaderno che reca l’impronta della manina e del piede, oltre a diverse pagine dove scrivere, se e quando te la sentirai, dettagli come il colore dei suoi occhi. Mi sono fatta tatuare l’orma del suo piede sul braccio e un illustratore ha realizzato un disegno a partire dalla foto che ci ritrae assieme. In tre».

Quanto coraggio ci vuole?

«Paolo e io abbiamo pianto insieme e continuiamo a farlo ma in questa tragedia il supporto ricevuto è stato comunque provvidenziale perché ci ha trasmesso forza e indicato la via per intraprendere un lungo cammino».

Finisce mai questo cammino?

«Ancora non lo so, nell’attesa cerchiamo di fare del bene. Abbiamo fornito un supporto concreto a “La prima coccola” puntando sui regali solidali dell’azienda e sulle donazioni, per mostrare a tutti che Noah è venuto al mondo, desiderato e amato sin dal primo battito. Il nostro è anche un ringraziamento ai sanitari, in primis alla dottoressa Gina Ancora. Vederla è sempre una gioia anche se resto in bilico sull’orlo delle lacrime».

Come celebra il compleanno di Noah?

«Raccogliendo fondi. Non tutti sono in grado di capirci, perché i regali si fanno ai bambini che nascono e crescono mentre sulla morte vige un tabù assoluto».

Perché questo nome?

«Ci piaceva molto ed è un peccato non poterlo ripetere all’infinito, ogni giorno. In ebraico significa “riposo” e la mia speranza è che mio figlio abbia raggiunto la pace».

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