Rimini, «mia figlia adottata dalla Bielorussia dopo 15 mese è ancora senza permesso di soggiorno»

«Mia figlia adottata dalla Bielorussia, dopo 15 mesi nessun permesso di soggiorno». È un fiume in piena Marta (nome di fantasia), 50enne, insegnante riminese. Prima di raccontare la sua storia «paradossale» si chiede «se in Italia la legge sia davvero uguale per tutti» e invita a non stupirsi se le adozioni hanno toccato i minimi storici. Tutto comincia oltre 11 anni fa, quando ospita nella sua casa tramite i soggiorni terapeutici di risanamento denominati “I bambini di Chernobyl”, una bambina bielorussa di 8 anni e mezzo, ora quasi 20enne, Natasha (altro nome inventato). Tra le due sboccia un affetto che spinge Marta a avviare il percorso per l’adozione. Dopo peripezie burocratiche durate cinque anni, nel 2019 la riminese ottiene l’idoneità per adottare. Sfortuna vuole che poco prima di inoltrare domanda alla Cai di Roma (commissione adozioni internazionali) vengano chiusi i confini internazionali per Covid. Segue una lacerante separazione di due anni, prolungata di un altro anno e mezzo per lo scoppio della guerra russo-ucraina. «Ci sentivamo per ore al telefono», ricorda Marta.
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