Rimini, Matteo Di Loreto: “Da ballerino “soldatino” a creativo: la mia coreografia arrivata su Amazon»

Rimini

La compressione dei movimenti, la limitazione degli spazi e la stasi obbligata del Covid lo hanno riportato su un sentiero che aveva abbandonato da tempo. E’ così che Lorenzo, al secolo Matteo Di Loreto, ballerino professionista di 31 anni originario di Cerasolo, ha ripreso in mano l’arte della coreografia, “disegnando” storie e raccontando emozioni a ritmo di danza.

Dalla sala della sua casa a Copenhagen, dove vive dal 2014, quando ha iniziato a ballare per la Royal danish ballet company, ha composto la sua prima coreografia, e non sapeva che quell’insieme di volteggi e di musiche sarebbero stati premiati a numerosi festival internazionali come il San Francisco dance film festival ed il Cannes world film festival. E nemmeno che la sua “creatura”, Vividream, sarebbe stata distribuita da Amazon Prime. E dopo una competizione in America, a Milwaukee, dove con un altro pezzo ha vinto il premio del pubblico, Lorenzo è pronto a tornare in Danimarca, sempre alla Danish royal ballet, non più solo da «soldatino semplice», dice lui scherzosamente per indicare i ballerini, ma anche come coreografo.

Lorenzo, dopo 10 anni da ballerino professionista era arrivato il momento di voltare pagina?

«Mi è sempre piaciuto pensare alle coreografie, ne avevo preparate alcune quando ero adolescente e durante gli anni di studio all’English national ballet school dove mi sono diplomato nel 2012. Poi nei miei vent’anni, non ci ho più pensato. Ho iniziato a danzare al Balletto nazionale a Tallinn e poi alla Royal danish ballet e mi sono dedicato a quello. Ma durante la pandemia siamo stati chiusi in casa forzatamente, noi ballerini siamo abituati all’attività fisica, ci alleniamo tutti i giorni. Mi sentivo compresso, mi sembrava di sprecare tempo. Allora ho ripreso in mano la mia vecchia passione.

L’oppressione che vivevo, in tutti i sensi, ha fatto sì che iniziassi a esplorare una nuova parte creativa di me e mi è proprio esplosa questa cosa della coreografia. Così, all’improvviso, come un’attitudine innata. Quindi nel 2022 ho registrato Vividream, insieme a sei ballerini che conoscevo bene, con cui avevo lavorato negli anni precedenti. E’ stato il mio cortometraggio, che qualche mese dopo è stato proiettato ai festival internazionali del cinema dedicati alla danza, vincendo numerosi premi. E alla fine è stato pubblicato su Amazon, non l’avrei mai immaginato».

Da dove è arrivato lo slancio per rivoluzionare tutto?

«Mi sono buttato nel vuoto e mi sono aggrappato a quello che avevo: alla mia fiducia in me stesso e alla mia esperienza maturata in anni di balli, spettacoli e allenamenti. Oltretutto ero reduce da un periodo di grossa delusione, dopo un infortunio nel 2018 che mi ha rallentato. Ho dovuto riconsiderare molte cose».

E in America, a Milwaukee, come ci è arrivato?

«Sono stato invitato al Milwaukee ballet, un concorso coreografico in cui eravamo tre concorrenti, io, uno dall’Australia e un altro arrivato da Taiwan.

Era una competizione in cui, per far sì che tutti i concorrenti partissero dalle stesse condizioni, dovevamo realizzare i pezzi con un corpo di ballo estratto a sorte, e anche questa per me è stata un’importante sfida. La coreografia che ho realizzato io si chiama “Baroccata”, un pezzo di 20 minuti, su musiche di Vivaldi e Bach. Il mio primo dal vivo, che ha vinto il premio del pubblico».

Qual è la differenza più grossa tra fare il ballerino e il coreografo?

«Il ballerino esegue, e dopo tanti anni, effettivamente, avevo bisogno di qualcosa di nuovo. Il coreografo inventa, crea, decide. Ammetto che mi ha sorpreso rendermi conto della maturità delle opere create oggi, da trentenne, rispetto a quelle di quando ero ragazzo. Nelle coreografie si porta in scena il proprio vissuto, la propria esperienza esistenziale in cui chi guarda può riflettere la propria immagine».

Che progetti ha nel suo futuro?

«Voglio continuare a lavorare sul mio linguaggio coreografico e sui progetti dal vivo. A marzo 2024 ho realizzato un’altra coreografia, che ha debuttato in prima mondiale alla Royal danish: “Don’t be scared”. E’ un lavoro introspettivo che va a scavare nelle paure esistenziali ed è accompagnato da una voce narrante che recita una poesia e ricorda chi siamo: “una parola in questa poesia d’amore che stiamo scrivendo insieme”».

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