Rimini. Marito e padre-padrone tormenta moglie e figlia: «Siete di mia proprietà»

Rimini

Anni di minacce, botte e tormento alla moglie e anche alla figlia. Gelosia folle, mania di controllo, contrarietà al fatto che le due donne abbiano un lavoro o che la figlia, di 24 anni, abbia un fidanzato, degli amici, una vita sociale normale, e indossi le gonne. Una famiglia costretta a vivere nella violenza quotidiana, quella che oggi deve affrontare un processo per maltrattamenti aggravati che vede al banco degli imputati il padre, un uomo di origini albanesi di circa 50 anni, che deve rispondere delle aggressioni fisiche e verbali, del malessere e della paura che ha provocato per quasi trent’anni prima a sua moglie e poi alla figlia.

Le accuse a suo carico sono state raccolte dal pubblico ministero Davide Ercolani, che nell’udienza dello scorso giovedì davanti al tribunale collegiale, in rito immediato, ha ripercorso le tappe di un vero e proprio incubo tra le mura domestiche. A corroborare la relazione, anche il video registrato dalla ragazza nell’ultima, violentissima, aggressione dello scorso febbraio, quando le due donne sono state salvate dalle forze dell’ordine chiamate dalla 24enne, facendo finire il padre in manette. Quella notte, dopo una discussione nata per motivi banali (lui accusava la moglie di essere una poco di buono perché secondo lui aveva un amante) il padre se l’è presa anche con la figlia, incastrandola contro il muro e cercando di darle dei morsi in faccia. La mamma è intervenuta per proteggerla e solo chiudendosi in una stanza in attesa dei carabinieri le due donne sono riuscite a salvarsi.

Nel corso delle indagini è emersa l’esasperazione e il dolore delle due donne, costrette a subire un padre padrone che, come riferito dalla ragazza agli inquirenti “mi ha sempre detto che noi siamo di sua proprietà”, e per tale ragione era giustificato a sputare loro in faccia, a picchiarle, a insultarle, in caso lei o la madre gli rispondessero male.

Un tormento quotidiano, fatto anche di pugni in testa alla moglie e contro le porte, di piatti spaccati sul pavimento e di videochiamate per controllare la moglie, sopportato per la paura che lui desse seguito alle minacce di ammazzarle. Paura che ha frenato la donna da annullare il matrimonio in Albania o dal denunciarlo dopo essere finita in ospedale per le botte prese da lui, o, ancora, dopo un intervento dei carabinieri nel luglio del 2022. Quelle botte, però, non hanno lasciato segni solo sul corpo: le fotografie dei lividi che la ragazza si era scattata e che ha consegnato ai carabinieri non rimargineranno mai e saranno prove chiave di quell’inferno subito da tutta la vita per mano di una delle persone che più di altre dovrebbe amarti e proteggerti.

Ma difficili da rimarginare saranno anche i segni lasciati nella mente, il trauma “scavato” in anni e anni, che ha costretto la ragazza a chiedere un supporto psicologico, e tante volte, anche a subire l’umiliazione di presentarsi al lavoro piena di lividi sul corpo e in viso. Lividi che non sempre il trucco è riuscito a cancellare e che a volte hanno spinto il datore di lavoro a dirle di tornarsene a casa, tanto era impresentabile.

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