Rimini. La psicologa: “L’autismo non finisce a 18 anni, servono più aiuti”

«L’autismo non finisce a 18 anni. Servono più aiuti anche per i caregiver».
A fare il punto è Caterina Cosentino, psicologa, esperta in analisi del comportamento e supervisore metodo Aba.
Cosentino, partiamo da qualche numero sull’autismo?
«L’autismo ha un’incidenza di uno ogni 55 nati. Una proporzione che in Italia coincide con circa 800mila persone, a fronte di casi sempre in aumento. Si tratta di una neurodivergenza importante ma, troppo spesso, si dimentica che questi bambini diventeranno adulti. Adulti, che nell’ottica di un welfare societario, non risultano sostenuti a dovere».
Perché?
«La maggior parte di questi giovani, passati i 18 anni, trova pochissimi sbocchi».
Quali le possibilità al momento?
«Alcuni si recano in un centro diurno, altri in una struttura residenziale (o semi residenziale) a fare poco o niente tutto il giorno. Esistono realtà molto interessanti, va riconosciuto, ma urge un cambio di passo».
Qual è il lato peggiore?
«Un ragazzo autistico avverte quando si sente efficace e al contrario soffre se finisce in circuiti non adeguati. Altro scoglio è la noia, una nemica che a lungo andare innesca un’involuzione dando sponda a comportamenti disfunzionali o all’accentuarsi di stereotipie, come ad esempio può essere lo sfarfallare con le braccia. Il che mette in croce le famiglie».
Il suo sogno è aprire un ristorante gestito in toto da autistici, com’è andata la prima esperienza?
«La serata pilota del format “In & Aut”, al Melanina Garden, è andata benissimo grazie alla risposta dei ragazzi che si sentivano utili ed efficaci durante il servizio, mentre di solito si ritrovano in disparte».
I figli crescono e i genitori invecchiano: nel Riminese si fa abbastanza in previsione del “dopo di noi”?
«Andrebbe incrementato il numero dei servizi e dei supporti dedicati alle famiglie. È difficile inserire questi ragazzi nelle realtà del territorio che hanno altre priorità. Lo stesso discorso vale per le attività sportive. Se vuoi avere servizi in più devi puntare sul privato, affrontando le spese del caso, perché l’Ausl passa solo due ore a settimana, e la logopedia è garantita fino agli 8 anni del bambino come se, dopo tale età, non fosse più autistico. Molti altri sostegni finiscono in corrispondenza del 18esimo compleanno. Peccato però che l’autismo non termini con il raggiungimento della maggiore età. E poi c’è un ultimo nodo. Il lavoro».
Cosa c’è che non va?
«Questi ragazzi hanno bisogno di qualche attenzione in più dal datore di lavoro, che spesso è troppo preso da altro, in primis il fatturato. Così va sprecato un enorme potenziale. Un esempio? Dopo la recente esperienza al ristorante, uno studente che frequenta l’istituto alberghiero sarà assunto. Ricevuta la notizia, la sua mamma si è messa a piangere. Detto questo, non tutti sono portati per la ristorazione, ecco perché serve un ventaglio più ampio di offerte».
Un punto imprescindibile?
«L’autismo non è qualcosa che sbarra il cammino. Non va catalogato alla stregua di un problema né di una malattia: è solo un modo diverso di funzionare. Capire questo darebbe spazio alla tolleranza di cui purtroppo siamo sempre meno capaci. L’unicità è un valore sebbene viviamo in un mondo che punta all’omologazione. Eppure io secondo campione mondiale nel cubo di Rubik, lo ricordo, è autistico proprio come molti intellettuali e il miliardario Elon Musk. I ragazzi hanno tante potenzialità, devono solo trovare, come chiunque altro, la propria strada».
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