Rimini. L’ex assessore: “Lanciammo i grattacieli ma gli intellettuali li bloccarono”

Rimini

«Rimini è una città che desidera cambiare, eppure lo teme. E, infatti, se con una mano il pubblico ha investito, con l’altra, in nome dello “stop al cemento”, ha ostacolato la crescita. Col plauso di molti. Ed ora ci ritroviamo con Jesolo che ci spiega come fare turismo nel nuovo millennio». Samuele Zerbini, presidente nazionale della Conferenza delle Agenzie di viaggio del turismo scolastico legata a Federturismo (ed ex assessore nella giunta Ravaioli), dopo la lezione a distanza fatta da Massimiliano Schiavon, presidente di Federalberghi Veneto, sullo sviluppo urbanistico, architettonico ed economico di Jesolo, punta il dito su un comparto alberghiero e turistico riminese chiuso su se stesso, poco propositivo, e ancorato a vecchi schemi. E, in linea con le posizioni innovative di Mauro Santinato, manager alberghiero, e di forte sviluppo di Antonio Bianchi, fondatore del gruppo Piazza Hotels & Residences, rilancia quella politica degli investimenti, che da qui ai prossimi vent’anni «dovrà vedere impegnate tutte le categorie economiche della Riviera».

“Era tutta campagna”

Vengono quindi ricordati anche alcuni errori del passato. Attacca Zerbini: «Quando parte della politica riminese che ha governato negli ultimi vent’anni si è impegnata per dare un volto nuovo a Rimini, e i risultati sono visibili, un’altra parte della politica e della classe dirigente e imprenditoriale ha cercato di mantenere tutto così com’era. E lo sviluppo è stato, così, stoppato sul nascere da vecchie convinzioni legate a quel turismo di quantità risalente agli anni ’78-80, quando eravamo ancora una delle poche località balneari italiane, piuttosto che di qualità come la logica attuale imporrebbe. Risultato? Una città con infrastrutture nuove, ma con molte strutture ricettive vecchie. Insomma, una città ferma al secolo scorso». E continua: «Mentre i nostri competitor, Jesolo, Forte dei Marmi, per citarne alcuni, puntano con decisione sulla riqualificazione, noi continuiamo a parlarci addosso senza agire. Quando, invece, si dovrebbe partire immediatamente con i lavori di ammodernamento degli hotel, degli stabilimenti balneari, in questo caso la Bolkestein e i bandi di gara rappresentano un’opportunità da non perdere, dei ristoranti, dei negozi del lungomare. Una critica, però, vorrei sollevare nei confronti di una certa classe intellettuale cittadina».

“Voglia di archistar”

Zerbini ripercorre alcuni passaggi politici del passato che, secondo lui, hanno contribuito a rallentare quella necessaria innovazione alberghiera, che altri luoghi, invece, hanno supportato. «Ricordo che mentre l’amministrazione di Jesolo, per rimanere sul tema caldo di queste ultime settimane, affidava all’urbanista giapponese Kenzo Tange il compito di ridisegnare il volto della città e i privati convocavano archistar internazionali di chiara fama per rifare, in chiave moderna e di qualità, abitazioni e alberghi, la Rimini della cultura criticava chiunque parlasse di riqualificazione in verticale. Ricordo bene quei tempi perché eravamo a inizio secolo, ed io ero assessore nella giunta Ravaioli. E appena l’amministrazione provò a lanciare l’idea di città futura, di una Rimini dai grattacieli innovativi sul lungomare, la classe intellettuale, di controcampo, insorgeva al grido “Dubai? Du bal!”, a far intendere che la città sarebbe dovuta rimanere così com’era. Guai a toccarla. E ora ci ritroviamo a pendere dalle labbra di chi quella politica, all’epoca, non solo non la ostacolò, ma la portò avanti con decisione e successo».

“Sempre più in alto”

Qualche interrogativo allora sorge: cosa fare? quale strada imboccare? Risponde Zerbini: «Intanto, andrebbe ridisegnato, ex novo, il Piano strategico che così com’è è superato, vecchio, datato: la Rimini di oggi non è più quella del 2007. E andrebbero rimossi tutti quei paletti di natura urbanistica che frenano possibili investimenti. Il privato, insomma, dovrebbe avere mano libera su dove e come investire. Fermo restando, ovviamente, che nel cancellare i vincoli di destinazione alberghiera, che attualmente insistono sulle 300 pensioncine chiuse e abbandonate, andrebbe mantenuta la destinazione turistica per la zona mare, quella sotto la ferrovia per intenderci. Così da permettere ad un qualsiasi imprenditore alberghiero di acquisire una, due, tre, delle centinaia di strutture in disuso, e utilizzare quelle volumetrie, più un ulteriore 30%, per realizzare un grande hotel dallo sviluppo verticale. Un po’ quello che nei primi anni 2000 l’amministrazione Ravaioli si era prefissa di fare e il sindaco Sadegholvaad ha ora rilanciato. Mantenendo, però, ferma, come alternativa, anche l’opportunità di realizzarci centri benessere, piscine, cucine condivise, parchi pubblici, condhotel, ma anche silos parcheggi».

Radici “antiche” che si ripropongono negli anni, dunque. «Quando un’idea è buona perché non rilanciarla, anche a distanza di 20 anni? Ricordo che il Palacongressi, la Fiera, nati negli anni 2000, hanno radici risalenti ai primi anni ’90, all’allora giunta Chicchi-Zavatta. E, con una clientela alto-spendente, hanno contribuito a incrementare il pil della Riviera con decisione: non dimentichiamo, infatti, che su 15 milioni di presenze che la Riviera fa registrare mediamente ogni anno, almeno un terzo, 5 milioni, arrivano attraverso gli eventi: fiere e congressi».

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