Rimini, “io da perito agrario a cardiologo: la medicina è un’arte”

Rimini

Da perito agrario a cardiologo, «La medicina non è una scienza ma un’arte».

Prima di esercitare, oltre a quella di scrittore, la professione medica che oggi lo vede cardiologo all’ospedale Sant’Orsola di Bologna, il riminese Gabriele Bronzetti si è cimentato nei lavori più disparati: si va dal barista al cameriere ma anche perito agrario.

Una bella scuola di vita, la definisce a distanza di tempo, perché «qualunque lavoro al pubblico allena l’empatia e fa evitare di arrivare al lavoro arrabbiati pretendendo pazienza da chi ci sta intorno».

A convincerlo a studiare a Bologna fu la ragazza che poi sarebbe diventata sua moglie ed oggi è un’affermata pediatra, Angelita Canzi.

Dopo una cena in cui finirono a parlare di genetica, quando ancora lui serviva Negroni ai tavoli, fu lei a dirgli: «Ma che ci fai ancora qui?».

Dottor Bronzetti, lei riserva parte del suo (scarso) tempo libero alle missioni umanitarie in Zimbabwe, presso la missione di Mutoku. Ci racconta una storia che l’ha toccato da vicino?

«Ero ancora uno studente quando ho seguito Marilena Pesaresi in Africa dove continuo a recarmi sotto il coordinamento di Massimo Migani. Mutoku è un luogo dove si riscoprono i fondamenti più autentici del lavoro e quell’anelito intriso di ideali che talvolta, in un grande ospedale, tende a sfumare in secondo piano rispetto alle continue emergenze. Le storie e le vite che si intrecciano con la tua, quando operi in una missione in mezzo al nulla, sono infinite, eppure rammento ancora con commozione Lorraine. Era appena una ragazzina quando il dottor Antonio Pesaresi, il fratello di Marilena a cui Rimini deve la meritata fama di città cardioprotetta, la portò in Italia. Fu la prima africana sottoposta a un trapianto di cuore a Rimini, grazie alla mediazione di don Oreste Benzi, tutore dei bambini malati da operare oltreconfine. Purtroppo dopo l’operazione si verificò un rigetto e sebbene fossimo pronti a rimetterla in lista per un secondo intervento, Lorraine rifiutò questa possibilità dimostrando una grandezza d’animo inaudita. “Lasciamo un nuovo cuore a chi ha più possibilità di me di cavarsela”, disse risoluta senza più cambiare idea. Un’altra storia, altrettanto esemplare, riguarda una donna giunta in missione dopo giorni di viaggio sul dorso di una mucca. Non respirava bene, affetta com’era da un rarissimo tumore al cuore grande come una palla. Sarebbe morta in una manciata di giorni ma non c’era tempo per mandarla in Italia così, tramite un ponte umanitario, l’affidammo a un ospedale del Sudafrica, dove peraltro nel 1966 è avvenuto il primo trapianto di cuore al mondo. Dovendo ripartire per l’Italia non ho saputo più nulla finché, giorni dopo, mi è arrivato un messaggio dalla famiglia di questa donna che mi ringraziava per averla salvata e invocava ogni bene su di noi».

C’è un caso tutto riminese che non scorderà mai?

«Il calvario del protagonista del mio ultimo libro intitolato “Nel cuore degli altri”. Si chiamava Francesco ed era nato con una gravissima cardiopatia congenita, diagnosticata già in utero. Dopo quattro interventi cardiologici, due al cervello e 35 ricoveri ospedalieri, è purtroppo scomparso nel dicembre del 2019, a soli 21 anni. Nelle stesse righe dove lo ricordo noto anche che “se tutti i pazienti fossero uguali la medicina sarebbe una scienza anziché un’arte, come invece è”».

Dove trova il tempo per scrivere?

«Di notte oppure all’alba, il momento che a mio avviso si presta più di qualunque altro per scrivere».

Cosa la sorprende di più di quel meccanismo che si chiama cuore?

«Tra le tante meraviglie che il nostro corpo riserva, merita una menzione lo svenimento involontario, a cui ho anche dedicato “La Divina Commedia, breve trattato sull’arte di svenire”. In breve, quando c’è qualcosa che non va, si registra la sincope (o svenimento), ovvero la perdita di coscienza transitoria. Il corpo finge di morire per sfuggire a un pericolo, reale o presunto, seguendo un’eredità ancestrale che affonda le radici agli albori dell’umanità. Una tecnica, questa, che ancora oggi certe specie animali mettono in atto per scampare ai predatori. Del resto anche nel 2015 durante l’attentato al Bataclan, a Parigi, si è salvato soltanto chi si è finto morto».

Libro preferito?

«Sono un lettore vorace che spazia da Proust ai romanzi di fantascienza ma il libro che non mi stancherò mai di rileggere è ”Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar. Narra le peripezie dell’imperatore romano Adriano che ripercorre a ritroso la sua vita prima di morire, guarda caso, per scompenso cardiaco dopo aver fatto visita al suo medico. Chiunque, testa coronata o no, alla fine deve fare i conti con la signora silenziosa che ci insegue dalla nascita: la morte».

La vita moderna è un mix fatale tra impegni pressanti e cronica incapacità di scegliere quel che ci renderebbe felici?

«Non staccare mai ma anche pretendere troppo da se stessi genera varie malattie cardiache che in futuro andranno a minare la longevità: dall’ipertrofia (ingrossamento, ndr) del cuore ai mali derivanti da accumulo».

Il crepacuore è un topos letterario, alla Tristano e Isotta, oppure si tratta di una realtà medica?

«Il crepacuore è oggi oggetto di grande interesse anche perché finalmente ha una spiegazione scientifica. Si tratta infatti di una cardiopatia da stress che i giapponesi hanno battezzato con il nome dell’anfora che usano per pescare i polipi, ovvero “tako tsubo”. Si tratta di una metafora perfetta per spiegare, ad esempio, cosa succede nel cuore di una mamma che ha perso il proprio figlio. Ma non è tutto, c’è dell’altro. Questa è la classica malattia che attende molte donne tra i 50 e gli 80 anni rimaste improvvisamente vedove. Lo stress causato da scariche improvvise di adrenalina deforma il cuore gonfiandolo in una parte e restringendolo alla base creando una trappola da cui è impossibile uscire indenni. L’indicibile e l’inaudito, così, prendono forma, a testimonianza del fatto che le donne amano in modo più profondo e, forse, molto più degli uomini».

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