Rimini. Infezioni da Hiv in calo. Sambri: “Attenzione, non si muore più ma non si guarisce”
Emilia-Romagna, calano sia le diagnosi di infezione da Hiv che da Aids. Lo si evince dal Notiziario dell’istituto superiore di Sanità uscito nel novembre del 2023. Ma sono in aumento clamidia e sifilide. Dati alla mano, guardando all’Emilia-Romagna, le nuove diagnosi da Hiv nel 2012 risultano 436. Una cifra che, a seguire, diventa 345 (nel 2013), 377 (2014), 323 (2015), 329 (2016), 312 (2017), 252 (2018), 244 (2019). Il cambio di rotta si ha nel 2020 quando, in piena pandemia, si registrano solo 168 diagnosi divenute 203 l’anno seguente e 206 nel 2022. Per un totale di 3195 attestazioni. Considerando il 2022, dei 206 casi 166 sono residenti e per il 60,2% italiani. Quanto all’orientamento sessuale, gli omosessuali costituiscono il 42,8%, gli eterosessuali uomini il 21,1% e le eterosessuali donne il 19,3% mentre il 6,6% risultano tossicodipendenti. Dalle 78 diagnosi di Aids registrate in Regione nel 2013 si passa alle 21 del 2022. Restringendo il campo a Rimini, nel 2022 l’incidenza (casi/popolazione) delle nuove diagnosi di Hiv è magiore 3,5% mentre per quelle dell’Aids è tra lo 0,6% e l’1%. Ad approfondire una riflessione sul tema interviene Vittorio Sambri, direttore Dipartimento Medicina di Laboratorio e Trasfusionale e Direttore U.O. Microbiologia Romagna.
Dottor Sambri, non si parla granché di Aids, perché?
«Purtroppo esiste ancora uno stigma sul malato di Aids. In secondo luogo è passata la convinzione, del tutto erronea, che da infezione Hiv si guarisca. In realtà con la terapia antivirale ad alta efficacia si passa da uno stato di infezione che evolve a un’infezione cronica. Di infezione da Hiv non si muore quindi, se curati, ma neppure si guarisce. Si tratta di una terapia a cui bisogna sottoporsi per tutta la vita e che, qualora venga interrotta, vede il virus ricominciare a replicare, con l’Aids dietro l’angolo. Parliamo di questo di pazienti fragili anche perché si assiste a una co-trasmissione di altri patogeni tra cui l’Epatite C e la Treponema, che causa la sifilide. Poi c’è un’altra questione: oggi esiste una profilassi Pre-Esposizione, la cosiddetta PrEP».
Di cosa si tratta?
«Di un cocktail di farmaci che viene assunto prima di un rapporto sessuale non protetto e che ha la capacità di fermare la trasmissione di Hiv. Ad assumerla è chi ancora non ha l’infezione da Hiv ma si espone a rapporti sessuali a rischio. Una situazione, questa, che è suonata a molti come liberatoria ma il problema vero soprattutto (ma non solo) nella comunità gay è che non usare più protezioni meccaniche fa contrarre, con sempre maggior frequenza, altre malattie come ad esempio clamidia e sifilide».
Un altro nodo?
«In Romagna circa un paio di soggetti, all’anno, si infettano senza averne consapevolezza, tant’è che si sottopongono al test quando ormai la malattia è conclamata. In questo caso la terapia retrovirale si rivela poco efficace. Ecco perché consigliamo a tutti di fare il test, nel rispetto di se stessi e del partner».
Un periodo difficile?
«La pandemia, ossia un momento in cui esami e test sono giocoforza calati, mentre aumentavano i comportamenti a rischio. Più in generale, in Romagna, si registrano 70-80 nuove diagnosi di Hiv all’anno, di questi circa una decina hanno già l’Aids. Una piccola fetta, quest’ultima, rappresentata da professionisti, quindi persone colte, fra i 40 e i 50 anni».