Rimini, il “pirata” Lolli e Almasri: «In carcere in Libia messo in una bara di ferro quando non rispondevo»

Rimini

E’ un testimone che non vuole più rimanere silenzioso e tacere sulle torture, gli omicidi e le violenze perpetrate in Libia dal carceriere di Mitiga, Njeem Osama Almasri; il capo della polizia giudiziaria libica arrestato e poi rilasciato dalle autorità italiane nonostante un mandato di cattura internazionale emesso contro di lui dalla corte penale dell’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità.

Giulio Lolli, imprenditore finito a processo e condannato per le vicende della Rimini Yacht, fuggito in Libia ed estradato nel 2019 sotto l’impulso della Procura della Repubblica di Rimini e quindi del pm Davide Ercolani, attualmente in carcere si dice «indignato» per la scarcerazione di Njeem Osama Almasri. Il capo della polizia giudiziaria libica, come noto, è accusato di aver ucciso, torturato e violentato diversi reclusi nella prigione di Mitiga.

In una lunga nota - diffusa attraverso il suo avvocato, Claudia Serafini - Lolli racconta le torture subite e quelle a cui dice di aver assistito a Mitiga «dove sono stato rinchiuso, nell’indifferenza mediatica, consolare e delle associazioni dei diritti umani - scrive - dal 28 ottobre 2017 all’1 dicembre 2019». Lolli, soprannominato “Il Pirata”, era stato arrestato in Libia, dove aveva preso parte alle rivolte contro Gheddafi, con l’accusa di terrorismo (accusa per cui in Italia è stato assolto in via definitiva).

Nella sua lettera spiega di aver già testimoniato nel 2023 davanti alla Procura della Corte penale internazionale e di essere stato, in carcere in Libia, testimone oculare di due omicidi commessi dai comandanti della milizia Al-Rada, il primo effettuato da Almasri «per rappresaglia su un prigioniero appena catturato dopo un tentativo di assalto alla prigione», il secondo durante alcuni interrogatori. In un’altra occasione, scrive Lolli, ci furono colpi d’arma da fuoco sparati alle ginocchia dei prigionieri, in due casi da Almasri, «per dare esempio. Ho assistito a innumerevoli e brutali pestaggi - aggiunge - avvenuti sia con il bastone di gomma che Osama e tutti i miliziani si portavano appresso sia con il calcio dell’AK47».

Tra le torture subite, Lolli racconta di essere stato ripetutamente inserito in una bara di ferro verticale per ore «quando non rispondevo adeguatamente a Almasri, Abdulraouf Karah, il fondatore di Al-Rada e a un altro ufficiale». Lolli si dice pronto a dare ulteriori chiarimenti e dice di essere indignato «ancor più a vedere che un criminale di tale caratura sia stato riaccompagnato in Libia con l’aereo Falcon dell’Aise», lo stesso velivolo con cui lui stesso venne condotto dagli agenti dell’Aise da Tripoli a Roma, «dopo essere stato consegnato da Almasri ai servizi segreti italiani».

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