Rimini. «Facevo la chimica da Hera, poi il cambio vita». Ora Elisabetta Zavoli scatta fotografie per National Geographic

Rimini

Da chimica di Hera a fotogiornalista per National Geographic il passo è breve. Ma neanche così tanto. Per Elisabetta Zavoli, riminese doc, ha infatti significato rivoluzionare da cima a fondo la sua vita. Classe 1976, una laurea in Chimica a Bologna e un master in Chimica per la gestione dei rifiuti, ha lavorato nell’impianto ravennate di Hera per otto anni. Fino al 2009, anno della svolta. «Decisi di licenziarmi e di mettermi alla prova nella fotografia, passione che coltivavo fin da bambina - spiega –. Capii che avrei potuto combinare entrambi i miei interessi: la fotografia e l’amore per l’ambiente». I risultati, a distanza di 15 anni, parlano da sé. Lo scorso 4 luglio, National Geographic Italia ha pubblicato il suo progetto “Un alieno alla mia tavola”, incentrato sul granchio blu e finanziato dalla National Geographic Society. Una battaglia, quella in nome dell’ambiente, che Zavoli continuerà a combattere a colpi di scatti fotografici.

Zavoli, si aspettava che il progetto pubblicato con National Geographic riscuotesse questo successo?

«Non me lo aspettavo, ma ci speravo. Il progetto “Un alieno alla mia tavola”, che presentai nel marzo del 2022 per lo Storytelling Grant di National Geographic Society, alla fine ha ottenuto il finanziamento. Si tratta di un programma di supporto economico per la realizzazione di progetti proposti da giornalisti, fotografi, scienziati, operatori nel campo della conservazione ambientale ed educatori, con lo scopo di raccontare, studiare e tutelare le meraviglie della Terra. Da gennaio a dicembre 2023 ho lavorato in sinergia col collega divulgatore scientifico Francesco Martinelli. Non potevo immaginare che, proprio nell’estate di quell’anno, l’invasione di questa specie avrebbe raggiunto l’apice».

Come si è sviluppato il lavoro?

«Ci siamo concentrati su tre Paesi europei che affacciano sul Mediterraneo orientale: Italia, Grecia e Croazia. In Italia abbiamo preso in esame il Delta del Po, perché si tratta della più grande zona di acqua salmastra, a cui è legato il ciclo di vita del granchio blu. L’obiettivo era documentare gli impatti che le popolazioni di granchio blu avevano sull’ecosistema marino e sul comparto economico della costa, con un focus anche sulle soluzioni che le popolazioni indigene stavano mettendo in campo per mitigare il problema».

E il materiale raccolto?

«Si è trasformato in diversi prodotti giornalistici. Un saggio fotografico. Un contenuto long form, scritto da Martinelli. Un documentario di otto minuti, realizzato da me, in cui racconto la crisi dal punto di vista di un pescatore. Una fanzine, frutto della collaborazione di molte maestranze riminesi, in cui abbiamo approfondito la reazione del comparto alimentare all’invasione del granchio blu. Inoltre a giugno, nella spiaggia libera del porto di Rimini, abbiamo inaugurato una mostra con foto tratte dal mio reportage, che rimarrà visitabile fino alla fine dell’estate».

La scelta di rischiare tutto e puntare sulla fotografia, insomma, si è rivelata vincente.

«Direi di sì. Sono convinta che la passione per le tematiche ambientali possa trovare compimento in varie professioni. La coltivavo prima come chimico, la coltivo ora come fotografa documentarista. Per me, però, il lavoro della vita è quello che faccio oggi. Narrare storie o tematiche attraverso le foto, concentrandomi sulla sfera ambientale».

Se dovesse racchiudere Rimini in uno scatto, cosa sceglierebbe di fotografare?

«Domanda difficilissima. Quando penso a Rimini penso alle foto di me bambina in spiaggia. Se dovessi scegliere un soggetto specifico, probabilmente sarebbe il mare d’inverno. Un mare molto più riflessivo e intimo, che appartiene solo ai riminesi e non ai turisti. Mi vengono in mente tutti quei microrganismi che si arenavano sulla spiaggia, lì dove oggi si incontra la plastica. Perdevo le ore a guardarli e a fotografarli. È questa l’immagine che trasmetterei di Rimini».

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