Rimini, dalle baraccopoli al lavoro dentro l’Onu: “Così sono diventata medico missionario”

Rimini

Dalle baraccopoli alla stanza dei bottoni all’Onu. Mara Rossi: una vita spesa per gli altri. Nata 68 anni fa e originaria di Coriano, Maria Mercedes “Mara” Rossi è divenuta membro all’età di 17 anni dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, di cui oggi è missionaria consacrata e dal 2009 rappresentante alle Nazioni Unite di Ginevra. Dopo il liceo, Mara era incerta sulla strada da prendere. Finché durante un campeggio in montagna mentre pregava il Signore di farle comprendere la sua volontà aprì il Vangelo a caso incappando nella frase “Curate i malati e sanate i lebbrosi”. Cosí ho capito - dice - che Dio mi voleva medico e medico missionario. Da qui la laurea in Medicina, conseguita sulle orme del padre. Poi nel 1988 è partita per lo Zambia, in Africa, dove ha prestato la sua opera per 20 anni presso la diocesi cattolica di Ndola, in particolare nel programma integrato di assistenza domiciliare per le persone con Hiv e Aids.

Rossi, da quante persone è composto il gruppo della Papa Giovanni all’Onu?

«Dall’aprile del 2009 e per i primi tre anni sono stata sola, ora in squadra ci sono due persone che lavorano a distanza e due in presenza. Numeri, questi, a cui ogni anno si aggiungono due ragazzi (o ragazze) per il servizio civile internazionale e infine accogliamo, a seconda delle possibilità, anche altri giovani per lo stage».

In cosa consiste il vostro compito?

«Siamo in prima linea per stilare interventi scritti e orali sugli argomenti che ci stanno a cuore. Lavoriamo durante gli eventi organizzati nelle varie sedi dell’Onu, a cui possiamo partecipare. Inoltre come ong accreditata dal 2006 ci è consentito organizzare iniziative in parallelo ad esempio durante le sessioni dell’Onu oltre che avviare una lobby bilaterale o multilaterale con gli Stati membri. Cerchiamo di contribuire anche scrivendo relazioni per mettere in luce le priorità legate alle esperienze di condivisione con i poveri. Attivo in 42 paesi e 5 continenti, il nostro raggio d’azione spazia in molti ambiti inclusi i diritti allo sviluppo, alla solidarietà internazionale, alla salute e accesso a farmaci, cibo e acqua oltre a diritti sociali, economici e culturali senza tralasciare il monitoraggio all’agenda 2030 sino al traffico degli esseri umani, la migrazione, la protezione della famiglia, i diritti dei bambini, dei disabili e degli anziani e nel dibattito sugli indigeni».

Quale messaggio di don Oreste Benzi, fondatore della Papa Giovanni XXIII è stato accoltodall’Onu?

«Il concetto di solidarietà preventiva che è ormai entrato nei report e nelle risoluzioni dell’esperto di solidarietà internazionale. Don Oreste sosteneva che esistono due tipi di solidarietà: quella preventiva (ante factum) che intende estirpare le cause della diseguaglianza nei paesi più poveri (come ad esempio la cancellazione del debito esterno) e quella post factum che vede la comunità mondiale intervenire in caso di calamità per mettere una pezza a un vestito rotto visto che quei paesi sono già fragili in ragione di cause strutturali».

Quali persone porta nel cuore quando entra nella stanza dei bottoni?

«Tantissime tra cui due Martin e Bernardette. Martin era un mio paziente africano di 12 anni orfano di entrambi i genitori, morti di Aids. Era malato anche lui e quando andai a trovarlo, poco prima che morisse, gli chiesi cosa potevo portargli offrendogli frutta e bibite. E lui mi rispose: “Dottoressa, portami le medicine”. Quanto a Bernardette era una prostituta malata di Aids, che disprezzata da tutti viveva in una casupola senza mobili con la sorella. Dopo la stagione delle piogge era crollato il tetto e un giorno la trovai riversa sul pagliericcio tra i brandelli di un materassino rosicchiato dai topi. Soffriva molto e io avevo solo del paracetamolo ma quando le chiesi come stava mi rispose che stava bene. È la forza di Dio replicò di fronte alle mie obiezioni. Da baraccopoli fatiscenti fatte di lamiere e fango ma addolcite dal sorriso dei poveri che, nonostante la miseria, continuano a sorridere alla vita sono stata catapultata al freddo dei palazzi di Ginevra, una delle città più care al mondo. Quasi una vertigine».

L’Onu è nata per contrastare le guerre che tuttavia continuano proliferano, questo sminuisce la sua funzione?

«Da anni alcuni dei paesi più ricchi cercano di delegittimare l’Onu anche negando fondi indispensabili in un periodo tragico dove sono negati anche i diritti di base. Per questo bisogna salvaguardare il dialogo tra i popoli e l’Onu resta l’unica istituzione al mondo in cui si può dialogare a armi pari. Va riformato invece il consiglio di sicurezza che con il suo veto blocca molte iniziative».

Le vostre proposte come ong?

«Ci battiamo, tra l’altro, perché ogni Stato istituisca un ministero della pace, come chiedeva don Oreste, ma anche per il riconoscimento del diritto di solidarietà internazionale che è anche un’arma legale, la punizione del cliente nell’ambito della prostituzione, il superamento di alcune forme di detenzione tramite la comunità educante. Vorremmo infine aprire anche una sede a New York, un progetto avviato poco prima del Covid e che speriamo di portare a compimento nel 2025».

Il primo ricordo che ha di don Oreste?

«La sua gioia, che non era mai scalfita da nulla, e rispecchiava il sogno di nuovi cieli e nuove terre dove trionfasse la giustizia».

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