Rimini. Cercò di sgozzare il piccolo Tamin: altri due anni al feritore del bus

Coltellate ad un agente della Polizia penitenziaria. Nuova condanna a due anni di reclusione da scontare sempre nella Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) di Reggio Emilia dov’è già rinchiuso, per Somane Duula, il richiedente asilo somalo che l’11 settembre del 2021 ha ferito a coltellate due controllori su un bus della linea 11, tre passanti mentre a piedi cercava di sfuggire alle ricerche della polizia e che aveva cercato di sgozzare Tamin, bimbo di 6 anni originario del Bangladesh a passeggio con i genitori, sferrandogli un fendente al collo.
La perizia cui è stato sottoposto dal professor Renato Ariatti per conto del pubblico ministero Davide Ercolani, ha stabilito la sua totale incapacità di intendere e di volere, bollandolo come un «soggetto altamente pericoloso e affetto da una grave patologia di schizofrenia paranoide che lo porterebbe a compiere nuovamente gli stessi atti». In attesa della stesura della relazione del consulente tecnico della Procura, però, il 27enne che da anni vagava in Europa e giurava d’aver agito perché perseguitato da una “donna tedesca senza mani”, per diversi mesi è stato ospite del carcere riminese dei Casetti.
Aggressività ingestibile
Ed è qui che il 9 dicembre dello stesso anno, è andata in scena la seconda aggressione costatagli altri due anni di detenzione nella Rems reggiana. Quel giorno per l’ennesima volta aveva dato in escandescenze; il 27enne (difeso fin dai momenti dell’arresto dagli avvocati Maria Rivieccio e Luca Montebelli), ingestibile a causa del suo rifiuto ad assumere qualsiasi tipo di tranquillante, dopo aver devastato nuovamente la cella sradicando e fracassando a terra anche la televisione, si era scagliato contro uno degli agenti intervenuti per riportarlo alla calma e lo aveva ferito. Da qui il nuovo processo per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale concluso con la nuova sentenza dal gup del Tribunale di Rimini che ha “prolungato” di ulteriori 24 mesi il regime in quello che un tempo era chiamato ospedale psichiatrico giudiziario.