Riccione, rapinatore “derubato” degli affetti: dal permesso negato per assistere la mamma malata a quello non concesso per la nascita del figlio

Nel 2015 gli era stato negato il permesso di uscire dal carcere per recarsi al capezzale della madre. E dieci anni dopo non ha ottenuto l’autorizzazione per assistere al parto del secondogenito. Protagonista suo malgrado sempre lui, Luca Zindato, rapinatore che per due volte è stato “derubato” degli affetti. Un curriculum criminale alle spalle di tutto rispetto il suo, fatto di furti, rapine e reati contro il patrimonio commessi in lungo e in largo per tutta la Romagna, ma un legame ben saldo con la famiglia, tanto da aver generato un figlio mentre sconta la pena definitiva nel carcere di Dozza. Un figlio nato proprio il 2 marzo scorso, alla cui nascita però il 35enne domiciliato a Riccione, non ha potuto assistere. Il magistrato di sorveglianza non ha autorizzato la sua uscita dal carcere, mettendo in dubbio, secondo quanto sostenuto dalla legale di Zindato, Elena Fabbri, la reale paternità. Un diniego che ha causato «una profonda sofferenza», spiega l’avvocata che riporta le parole dell’assistito. «Riconosce che è giusto che lui sconti la pena, che paghi il suo debito con la giustizia, però il carcere è già una pena. Non è giusto che oltre a lui, privato della sua libertà, soffra anche la sua compagna e che i suoi figli vengano privati dell’affetto del padre». E, più di ogni altra cosa, «la nascita di un figlio è un momento unico e irripetibile. Un’ingiustizia privare una persona, anche se detenuta, della possibilità di assistervi». Zindato, alla fine, ha incontrato il figlio, ma solo a 10 giorni dalla nascita.
La paternità «certa»
“Mater semper certa est, pater numquam” dicevano i latini, che osservavano come la madre sia sempre certa, mentre il padre mai. Tuttavia, a riprova della certezza di averlo generato lui, quel figlio appena nato, Zindato ha più volte dichiarato la sua disponibilità a fare il test del dna, e ha già riconosciuto il bimbo che al momento porta solo il cognome della madre (che vive a Cesena con la figlia maggiore della coppia), per via dei tempi burocratici dilatati a seguito del riconoscimento non tempestivo causato della detenzione del 35enne. Il piccolo, secondo quanto ribadito da Zindato, è stato concepito durante un colloquio con la compagna, mentre non erano sorvegliati. «Non avevano diritto ai colloqui cosiddetti “affettivi” - spiega l’avvocata, riferendosi alle visite in cui le coppie sono autorizzate ad avere rapporti sessuali - e proprio per questo Zindato rimarca l’importanza di concedere questa possibilità ai detenuti che hanno famiglia». Il 35enne residente a Riccione ma nato a Milano è infatti in carcere da un paio di anni e dovrà restarci fino al 2039, in quanto condannato per 13 reati tra cui numerosi furti e rapine. «Già in passato gli era stata negata la possibilità di uscire dal carcere per fare visita alla madre in fin di vita - ricorda Fabbri - ma questa volta il diniego non ce lo aspettavamo. Qualche anno fa era uscito per il battesimo della figlia maggiore, non era evaso e non c’erano stati problemi. Il rifiuto del magistrato, arrivato oltretutto dopo la nascita del bambino, è stato un grande dolore».