Ravennate morto a 22 anni alla Notte rosa di Riccione, nuovi elementi dopo 12 anni. I genitori: “Riaprite il caso”

Non mi arrenderò mai, lotterò per la verità». Ce l’ha scritto negli occhi da 12 anni, Giuseppe Piccione, padre di Vadim il giovane di 22 anni di Ravenna ritrovato cadavere lungo il Marano di Riccione, all’indomani della Notte Rosa del 2012. «Ci sono nuovi elementi che possono portare alla riapertura del caso», conferma l’avvocato Elena Fabbri, legale del babbo di Vadim che di inchieste ne ha già fatto riaprire un’altra nel 2019.
La possibile svolta
Le indagini difensive avrebbero portato alla possibilità di utilizzare i dati nel cellulare del 22enne. Dati fino a questo momento mai utilizzati dalla Procura della Repubblica di Rimini.
Certo all’epoca della prima indagine furono chiesti, ottenuti e analizzati i tabulati telefonici che potevano dare un’indicazione su con chi avesse parlato Vadim prima di morire e se si fosse mai spostato dalla zona dove poi era stato ritrovato cadavere. «Avere accesso invece ai dati contenuti proprio nel cellulare - spiega l’avvocato Fabbri - è cosa diversa e può senza dubbio essere importante per aprire nuovi scenari. Abbiamo un tecnico molto bravo che sta lavorando sul telefonino per cui abbiamo speranza di poter chiarire alcune circostanze».
La speranza
Sulla morte di Vadim sia papà Giuseppe che l’avvocato Fabbri pensano ci siano ancora alcune cose da chiarire. «Il padre - spiega l’avvocata - non ha mai smesso di cercare la verità».
Perché c’è una sola domanda che da 12 anni a questa parte continua a tormentare le notti del signor Piccione: “Come è morto Vadim?”. Già nel 2019, all’epoca della seconda archiviazione il consulente tecnico della famiglia ritenne infatti l’ipotesi di annegamento molto improbabile («per l’assenza di fungo schiumoso alla compressione del torace e l’assenza di liquido nello stomaco»), ma soprattutto era convinto che risultava «possibile arrivare all’esclusione dell’annegamento come causa di morte attraverso una revisione dei preparati istologici».
Una volta rinunciato all’esame del cadavere, per cause di forze maggiore, si poteva e doveva fare di più, secondo la famiglia Piccione, per scoprire cause della morte ed eventuali responsabilità. Non fu fatto. Allora rimane ancora aperta la traccia delle testimonianze, sentire ancora gli amici nella speranza che un frammento, un particolare, riaffiori nella mente dei ragazzi arrivati in Riviera per festeggiare la Notte Rosa.
Del resto anche nel 2019 la giudice Benedetta Vitolo dispose nuovi accertamenti individuando come ipotesi di reato la “morte come conseguenza di altro reato”, “l’omissione di soccorso” e “l’abbandono di incapace”. In particolare ritenne che «per fare luce sulla triste vicenda» si dovevano ascoltare quattro persone già individuate dalle indagini difensive. Ma fu una strada senza uscita.
La tragedia
La speranza ora è nel cellulare, nell’ultimo oggetto usato da Vadim prima di sprofondare nelle acque scure del torrente Marano. All’epoca dei fatti in quella zona si concentrava tutta la movida riccionese. Erano gli anni delle “discoteche” sulla spiaggia e dallo sciamare dei giovani da un locale all’altro usando proprio il ponticciolo che unisce le due sponde del Marano. Forse è da lì che Vadim precipitò in acqua, ma forse non fu l’acqua ad ucciderlo. Su questo punto l’autopsia non arrivò mai ad una conclusione incontestabile.