Quando il torrente Ausa era un limite invalicabile
Su Bagni di Rimini, numero unico balneare uscito il 4 agosto 1895, troviamo un accenno al ponte sulla litoranea «che consente di raggiungere l’Istituto Matteucci». Quel riferimento ci porta ai primordi della balneazione e questo breve saggio cerca di mettere in evidenza alcune tracce di quel periodo storico.
Con la diffusione dei bagni di mare e l’arrivo sempre più massiccio di «forastieri», la foce del torrente Ausa diviene il confine “naturale” tra due zone di arenile: quella dello Stabilimento balneare, alla sua sinistra, e quella denominata dei Traj, alla sua destra. La prima organizzata e attrezzata per la stagione dei bagni; la seconda arida e inospitale abbandonata a se stessa. Proprio perché lontana dalle piacevolezze della bagnatura, nell’area dei Traj si insedia nel 1869 uno «Stabilimento per la cura degli scrofolosi», ovvero l’Ospizio marino del dottor Carlo Matteucci.
Separate e distinte per decenni, le due strisce di spiaggia iniziano a perdere la loro antica fisionomia socio-ambientale con la costruzione nel 1892 del ponte alla foce del torrente. La realizzazione di questa struttura, interamente di legno e molto rudimentale, fa seguito a cinque anni di acceso dibattito all’interno del Consiglio comunale. C’era chi riteneva il “cavalcavia” necessario «per il progresso dell’industria balnearia» e chi invece lo giudicava inutile, considerando più che sufficiente il territorio dei bagni compreso tra il rio e il porto-canale (Atti del Consiglio comunale di Rimini, 30 agosto 1889).
Il ponte favorisce immediatamente lo sviluppo edilizio costiero, tanto che nei primi anni del secolo tutta la litoranea, fino alla via degli Orti (via Lagomaggio), si arricchisce di eleganti villini, dimore estive per frotte di villeggianti. Nel 1912 la struttura, indecorosa e traballante, è sostituita da un ponte in muratura, che permette il passaggio, da tempo richiesto, del tram a cavalli su rotaia e, a partire dal 1921, anche del tram elettrico.
Torniamo all’inizio del Novecento. L’urbanizzazione del lido cancella gli antichi steccati fisici e mentali delle due aree “residenziali”, ma non elimina la divisione della spiaggia. Le acque dell’Ausa continuano a rappresentare una netta linea di demarcazione tra la zona “regolamentata” dello Stabilimento balneare – dove l’arenile è rigidamente diviso in spazi femminili e maschili – e quella “libera” dei Traj, dominata dalla “ingombrante” presenza dell’Ospizio Matteucci.
Con il susseguirsi delle belle stagioni i divieti imposti dalla «segregazione sessuale» cominciano a diventare anacronistici e la passeggiata “oltre i limiti”, diviene una “sfida” per allungare la camminata ed anche un atto di protesta nei confronti delle vecchie convenzioni balneari. Lo sconfinamento, tuttavia, si scontra con il fastidioso e imbarazzante attraversamento del torrente. La maggior parte dei bagnanti – ricordiamolo – gironzola sulla riva vestita di tutto punto e conficcare le scarpe nella fanghiglia del fiumiciattolo non è cosa che si addice alle dame e ai loro cavalieri. L’impiccio è superato nell’estate del 1903 quando, a pochi metri dal punto dove il corso del torrente confluisce nel mare, compaiono, adagiate sull’acqua, quattro tavole inchiodate alla meglio. Quei legni, opera di un anonimo geniere, rappresentano il primo abbozzo di passerella, e consentono a chi non ha eccessivi problemi di equilibrio, di spaziare “liberamente” oltre “frontiera”. L’accorgimento, seppure illegale, svolgerà un utile servizio per oltre due lustri.
Dopo la Grande guerra folle di bagnanti invadono la spiaggia, non più suddivida in aree maschili e femminili, e l’Ausa, nel bel mezzo dell’arenile, torna ad essere un intralcio alla circolazione. Il Municipio, per andare incontro alle richieste dei villeggianti, vi installa un ponticello, ma mentre prima ci si accontentava di poco pur di oltrepassare il corso d’acqua, ora le pretese dei vacanzieri aumentano e quel «pubblico» cavalcavia, «pericolante» e «sempre nei rotti», suscita un’infinità di brontolii: lo si pretende più sicuro, più pulito ed anche più gradevole nell’aspetto. «Quella passerella per il forte transito e per la sua leggerezza dovrebbe periodicamente essere visitata e riparata», rumoreggia L’Ausa il 9 agosto 1924 facendosi interprete del malumore dei vacanzieri. «Dobbiamo lamentare la poca cura – insiste il periodico il 15 agosto 1925 – cui sono tenute quelle quattro assi che servono in spiaggia da passerella ai bagnanti».
Nel 1932, dopo anni di continue sollecitazioni, l’Amministrazione comunale decide di rimettere a nuovo il ponticello e per due stagioni le lamentele tacciono. Riprendono fiato nel 1934. Quell’estate, con la trasformazione della foce del torrente in porto per piccole imbarcazioni, la passerella viene eliminata costringendo il viandante, che non vuole risalire sul lungomare per raggiungere l’altra sponda, a superare il torrente … a guado. «Un simulacro di passerella esiste – scrive il Corriere Padano l’8 luglio 1936, dopo aver ricevuto dai lettori diverse lagnanze – ma è riservata soltanto alla Società nautica che la usa per i soli soci».
Nonostante le proteste, il disagio continua. Riprende e si aggrava anche dopo la seconda guerra mondiale quando, distrutto il porticciolo, l’area diviene per vari anni luogo di acque putride e stagnanti, senza possibilità di attraversamento.
Nei primi anni Sessanta, per volontà di alcuni bagnini, spunta una passerella posticcia. L’iniziativa spinge il Municipio a costruirne una decente. E da quel momento vari ponticelli si susseguono alla foce del torrente, prima e dopo la copertura dell’Ausa, con telai e sostegni diversi per formato e materiale. L’ultimo, con struttura e sostegni in ferro, verrà realizzato quando si procederà alla definitiva “tombinatura” del torrente.
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