Oliver Stone pensa a un film sul “pirata” di Rimini Yacht Giulio Lolli


RIMINI. Da imprenditore a mercenario, passando per tribunali, carceri, la conversione all’Islam, rivolte e torture tra l’Italia e la Libia, la condanna a morte. Una vita da film quella di Giulio Lolli. Che potrebbe essere girato dal regista statunitense Oliver Stone.
La fama del “pirata” di Bertinoro, condannato a Roma per traffico d’armi e prima ancora al centro delle cronache per il caso della Rimini Yacht e la rocambolesca fuga dall’Italia, è arrivata fino ad Hollywood dove pare abbia interessato lo sceneggiatore e produttore cinematografico, che a Bologna ha incontrato il sostituto procuratore riminese Davide Ercolani dal quale ha ricevuto un “abstract” della conclusa vicenda giudiziaria dell’imprenditore.
L’ascesa e il declino
Lolli ha vissuto mille vite. La prima come imprenditore in Canada e a Bologna poi l’approdo in Riviera. Elegantissimo nei suoi abiti sartoriali su misura, viso abbronzato tutto l’anno, viveva in apparenza in un mondo da sogno, tra panfili scintillanti e ambienti esclusivi fino all’accusa di aver architettato e fatto parte di un sistema di “finti leasing” con yacht e auto di lusso. Nel 2010 la fuga rocambolesca del 59enne via mare, l’arrivo a Tripoli, la detenzione nelle carceri libiche, la conversione all’Islam, infine la cattura, l’estradizione e i processi.
Il periodo libico
Giulio Lolli a Tripoli nel 2019 fu condannato alla pena di morte sostituita poi con l’ergastolo. L’informazione emerge dalle sentenze libiche recentemente trasmesse per le via diplomatiche attraverso le ambasciate italiana e libica. L’imprenditore bolognese, finito a processo e condannato a Rimini e a Bologna per le vicende della Rimini Yacht, fuggito in Libia ed estradato nel 2019 sotto l’impulso della Procura della Repubblica di Rimini e quindi del sostituto procuratore Davide Ercolani, è attualmente in carcere in Italia.
Lo stesso Lolli in una lunga nota lo scorso gennaio attraverso il suo avvocato, Claudia Serafini, si era detto «indignato» per la scarcerazione di Almasri Osama Najeen, indicato come uno dei suoi carcerieri. Nel fascicolo libico su Lolli vengono riepilogati alcuni fatti accaduti nel Paese nordafricano. A partire dall’arresto per possesso di una pistola da 6 mm. In base al resoconto, nel 2015 Lolli sarebbe riuscito a vendere 5 imbarcazioni di cui una al Ministero del petrolio per 220mila euro. In quello stesso anno, tra marzo e aprile 2015, le autorità libiche lo avevano intercettato in diversi viaggi in mare. Il “pirata” - che si faceva chiamare Karim dopo la conversione all’Islam - trasportava cassette di pronto soccorso e persone da un porto all’altro della Libia. A quell’epoca avrebbe lavorato per Taha AI-Misrati, un comandante militare che aveva occupato una larga parte del porto di Tripoli.
Ma i guai, quelli veri che lo porteranno ad una sentenza di pena di morte, arrivano durante la rivoluzione. Lolli, come si legge nel resoconto libico era «uno straniero di nazionalità italiana senza collegamento con la vicenda libica, era ciò che tecnicamente è chiamato un mercenario. (...). Perciò le sue azioni hanno causato frammentazione e divisione della società libica. Affiliato ai membri della Shura di Bengasi a cui vendeva le barche, aveva poi fatto una serie di viaggi durante i quali aveva trasportato rifornimenti, sempre accompagnato da un gruppo armato di quattro o sei persone. Detti e crimini - riportano i documenti libici - hanno danneggiato la sicurezza interna dello Stato per cui la Corte l’ha condannato a morte ma ha applicato l’articolo 29 codice penale libico sostituendo tale pena con l’ergastolo». Durante la detenzione in attesa di essere estradato in Italia come chiesto dalla Procura di Rimini, Lolli ha raccontato di essere stato torturato da Almasri. L’avvocata di Lolli spiega che il suo assistito è stato condannato «per aver preso parte in qualità di straniero alla guerra civile libica, fatto che in Italia non è previsto come reato» e che non ha mai svolto attività di terrorismo «come rinosciuto dalla Corte d’Assise di appello di Roma che lo ha assolto dal reato con sentenza irrevocabile».