Appello per il ristorante "C'era una volta"
Lui, Buda, 73 anni, dice di «non avere più l’età», eppure da settembre, da quando il ristorante-pizzeria-birreria artigianale ha chiuso dopo 45 anni i suoi 3.500 metri quadri tra interni ed esterni, con centinaia di coperti, è partito con «una ristrutturazione da quasi 100mila euro» e con l’obiettivo di «dare nuovo smalto e trovare dei giovani pronti a fare continuare l’attività».
Il passaggio di mano, Buda lo aveva fatto già nel 1996, dando il locale aperto nel 1972 in gestione per la prima volta: lui era partito per Boston, dove aveva aperto un lussuoso locale e gli affari andavano bene, «ma il tentativo di trasferire tutta la famiglia oltreoceano non andò altrettanto bene e quindi decisi di mollare tutto e tornare in Italia».
A Rimini era ripartito con l’Accademia della Buona Tavola di Romagna: Flavio Buda aveva aperto una scuola di cucina romagnola contemporanea, che insegnava la storia, la pratica, la tecnica e il gusto delle cose buone fatte in casa e nei migliori ristoranti, per aggiornarsi e per certificarsi.
La passione per l’estero però l’aveva nel sangue, la moglie inglese e la giovinezza trascorsa a farsi le ossa nei locali in Europa lo avevano portato in seguito sempre negli Stati Uniti, dove aveva insegnato alle grandi catene alberghiere come cucinare il made in Italy e soprattutto le prelibatezze romagnole. Il ristoratore riminese aveva percorso Florida, California, Texas: arrivava assieme ai suoi fidati uomini e spiegava i sapori romagnoli e dopo 30 giorni di addestramento tornava in Italia per poi riandare in America a distanza di qualche mese e vedere se gli insegnamenti erano stati recepiti. Con l’Italia è quindi cominciato un viavai che alla fine lo ha riportato in pianta stabile a Rimini, dove Buda ancora una volta era stato accarezzato da un’ulteriore idea. Ovvero: fare conoscere la cucina di Rimini nell’Europa dell’Est: «altra zona “vergine”», l’aveva definita Buda, che era certo che a «Mosca e dintorni i prodotti romagnoli riuscirebbero a sfondare nel mercato già molto competitivo della ristorazione».
Eppure, nonostante i viaggi nel mondo e le avventure imprenditoriali, l’amore per “C’era una volta” non lo ha mai lasciato: «E’ una mia creazione - continua Buda - mi avevano offerto quasi due milioni di euro per venderlo, ma avevo rifiutato. Ora basterebbe un gruppo di giovani per fare decollare un progetto favoloso e io sarei pronto a venire incontro e accompagnare i nuovi gestori».
Le offerte negli ultimi mesi non sono mancate, ma Buda ha declinato: «Il più delle volte non erano progetti solidi, non erano persone che avrebbero potuto seguire il locale». Ci vogliono le spalle larghe, infatti: «Spazi ampi, centinaia di posti, una brigata che a pieno regime necessita di quindici, venti persone», spiega il ristoratore, «il lavoro è tanto e le soddisfazioni non mancano: se avessi qualche anno in meno mi butterei di nuovo a capofitto in questa avventura».
Ecco perché il suo appello è rivolto ai giovani «sarebbe l’ideale: vorrei che imprenditori capaci lo trasformassero in un luogo di ritrovo per i ragazzi, un punto di incontro con musica dal vivo e ristorazione». Una scelta, questa del titolare, che nasce «dai miei sette nipoti, sono stati loro a ispirarmi e farmi capire che questi luoghi, alternativi al divertimento che offre la discoteca, non sono tanti». E chi raccoglierà il testimone, conclude Buda, «di sicuro dovrà dare anima e corpo e impegnarsi tanto. Ma davanti a sé avrà un altro mezzo secolo di gioie e successi».