«La donna nella foto non era morta»

Rimini

 

RAVENNA. Ha messo in dubbio che la persona ritratta nella foto insieme alla sua assistita (quella in cui l’infermiera effettua una smorfia irriguardosa) «fosse morta» basandosi su quanto dichiarato dal perito del tribunale che avrebbe fatto riferimento ad una “persona anziana sdraiata sul letto”, lasciando così intendere che la donna potesse essersi appisolata o aver perso i sensi. E ha rigettato l’accusa di furto, sostenendo che nessun testimone l’abbia vista impossessarsi del denaro, rimarcando che sarebbe stata solo notata «con in mano un portafoglio da uomo con dei foglietti colorati». Come dire forse post it, non necessariamente banconote.

Una duplice lettura dell’oggetto del contendere con cui il legale di Daniela Poggiali, l’avvocato Stefano Dalla Valle, ha contestato ieri davanti al giudice del lavoro Roberto Riverso il licenziamento per giusta causa della 42enne di Giovecca, in carcere per l’omicidio volontario di una paziente. Decesso che, pur non rilevante ai fini della controversia, resta inevitabilmente sullo sfondo.

Nell’affollata aula di tribunale, la trattazione del caso ha a poco a poco attenuato il brusio di sottofondo. Il magistrato ha dapprima cercato di capire se vi fossero i presupposti per giungere ad una conciliazione. Un tentativo di dialogo naufragato di fronte al muro contro muro tra le parti. Troppa la distanza da colmare tra cavilli e forzature, di fronte alle quali il giudice ha mantenuto un atteggiamento equidistante, intervenendo in modo più deciso solo nell’occasione in cui è stata ventilata l’ipotesi che il fotogramma fosse stato scattato mentre la Poggiali stava lavorando. E’ stato quello l’unico momento in cui il giudice Riverso ha abbandonato il classico aplomb per un commento più netto.

Le schermaglie tra le parti sono proseguite per una quarantina di minuti. Lasso di tempo in cui le istanze del difensore dell’infermiera - che ha anche messo in dubbio il ruolo di vittima e carnefice tra la Poggiali e la collega che scattò le foto inviandole poi tramite whatsapp - si sono scontrate con le resistenze dei legali dell’Ausl, a cui spetta l’onere di dimostrare che la paziente “sdraiata sul letto con gli occhi chiusi” fosse effettivamente deceduta e la responsabilità dell’ex dipendente in merito alla sottrazione di 10 euro.

Stante la richiesta di prove testimoniali, l’udienza è stata aggiornata all’inizio di dicembre. Sia l’avvocato dell’infermiera che i legali che assistono l’Ausl (rappresentata dagli avvocati giuslavoristi Carlo Zoli e Valentina Campion) avranno la possibilità di indicare tre testi ciascuno; la lista è in via di definizione, ma tra le persone da sentire compaiono l’operatrice socio sanitaria che scattò la foto (a sua volta licenziata; la donna non ha però al momento impugnato il provvedimento), il testimone del presunto furto e chi vide la salma.

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