Lo chef Gino Angelini: «il mio sogno sarebbe quello di aprire un ristorante anche a Rimini»

Dal 2001 ha aperto nel cuore di Los Angeles l’Osteria Angelini, punto di riferimento indiscusso per chi ama i veri sapori italiani.
Quest’estate è tornato a Rimini, nella sua città, prendendo parte a una serie di serate che lo hanno visto protagonista come grande esempio di cucina. Tra queste le cene dedicate a Sigismondo Malatesta ambientate nel Castel Sismondo in cui ha saputo far incontrare le ricette e gli ingredienti dell’epoca, accostandoli a soluzioni contemporanee affiancato da un solido team di chef e amici della zona; o l’evento dedicato al suo maestro Gualtiero Marchesi al ristorante Quarto Piano.
Angelini, come hanno dialogato tra loro le ricette dei Malatesta e quelle di oggi?
«Abbiamo attinto dal libro di Luisa Bartolotti scegliendo i piatti e soprattutto gli ingredienti usati a quei tempi – spiega lo chef – . Ogni piatto veniva servito in due modi diversi accostando le due epoche, ed è stata fondamentale la collaborazione dei miei amici chef. Per riprendere il simbolo dei Malatesta abbiamo ideato un risotto alle rose e utilizzato in generale molte spezie, primo tra tutti lo zafferano che era amato perché richiamava l’oro».
Invece nel suo ristorante in California quali sono i piatti più apprezzati?
«Quelle che vanno per la maggiore sono le lasagne di nonna Elvira dedicate a mia nonna, impreziosite da me con un ciuffo di spinaci fritti; poi piacciono molto anche il branzino al sale e i cappelletti con il brodo di cappone e manzo (per loro è una rarità perché lo fanno solo con il pollo). Nel mio ristorante ho scelto di mantenere la vera tradizione della cucina italiana classica: tagliatelle, ravioli, pasta fatta a mano con ottime materie prime che si trovano anche là. I cuochi e i camerieri sono tutti italiani, con l’aiuto di hostess americane per la gestione della sala, e stiamo attenti alle esigenze di tutta la clientela (vegetariani, vegani, gluten free). Bisogna sfatare l’idea che gli americani non capiscono quello che mangiano, sono molto più informati ultimamente: occorre rimanere fermi sulle nostre idee senza scendere troppo a compromessi e arrivare pian piano alla comprensione, educando i gusti. Ci sono persone che vengono a mangiare anche tre volte alla settimana e per me è una grande soddisfazione. È un ambiente da 50 posti dentro e 10 fuori, con tavoli vicini, quindi a volte si crea una situazione davvero familiare tra i commensali».
Tra i clienti ci sono anche vip?
«Sì, ne vengono molti perché noi non chiamiamo i fotografi appena li vediamo arrivare, come fanno gli altri ristoranti. A volte faccio delle gaffe e il mio staff se la ride perché non li riconosco (lavorando sempre, non ho molto tempo per andare al cinema) e parlo con loro in un inglese un po’ maccheronico! Sono venuti Al Pacino, Leonardo Di Caprio, John Travolta, Joe Pesci, Cameron Diaz, Justin Timberlake e tanti altri».
Cosa ne pensa dei talent show dedicati alla cucina?
«Penso siano belli per la visibilità e la pubblicità, ma la cucina non è così facile. Non è detto che tutti arrivino fino in fondo nella professione perché ci vuole tanto sacrificio e una bella gavetta prima».
Che rapporto ha con la sua città d’origine?
«Mi manca tanto e il mio sogno sarebbe quello di aprire un ristorante anche a Rimini. A mia moglie, che è americana, piace molto e quindi in futuro potremmo pensare di dividerci un po’ qua e un po’ là. Vedremo, noi ci proviamo sempre!».