«Il liscio? Le mie basi»
Fresu giostrerà e interagirà con tutti loro, in una notte di improvvisazione e amicizia. La musica popolare è una forte componente della musicalità del trombettista e flicornista di Berchidda, da sempre ben riconoscibile nel suo stile.
Attualmente è uno dei più considerati jazzisti europei, soprattutto in Italia e Francia, dove è di casa. Ha una discografia ricchissima di collaborazioni con i migliori jazzisti internazionali e non solo.
«Sarò ospite dell’Orchestra di Mirko Casadei – ci ha detto – e, probabilmente, farò qualcosa anche con l’Orchestra popolare La Notte della Taranta. Ho accettato volentieri per la passione che mi è nata per Casadei dopo aver partecipato alla trasmissione televisiva di Raiuno “Unici”, andata in onda il 31 agosto scorso. Da allora siamo rimasti in contatto e ci siamo scritti un po’ di volte, quindi ho accettato volentieri di partecipare alla Notte del liscio».
Cosa c’entra un jazzista sardo con la Romagna?
«La amo molto, mi ci sento a casa, e stimo il popolo romagnolo, che vedo molto bello, attivo e solare. È un amore che condivido con mia moglie, bolognese: insieme abbiamo molti amici da voi. Ho avuto un grande amico romagnolo in Marco Tamburini (trombettista cesenate scomparso prematuramente nel 2015, ndr), il cui ricordo mi lega alla Romagna, in particolare a Cesena».
Per quanto riguarda il liscio, nella fattispecie?
«Ho cominciato a suonare nella banda del mio paese, e naturalmente, come tutte le bande, facevamo anche i pezzi di Casadei, insieme a quelli di Perez Prado e alle cover sudamericane. Poi sono passato ai complessi che suonavano ai matrimoni, e anche lì, come potrete immaginare, i brani di liscio non mancavano mai. Casadei per me è stato come il biberon della mia infanzia artistica, prima di passare al jazz. È stata un’esperienza molto importante, che mi ha insegnato le basi che mi sono servite quando sono passato al jazz. Da qualche anno abito a Bologna, e per me è stato un po’ come tornare a casa; da lì sono venuto spesso in Romagna, e ho ampliato la mia conoscenza da Casadei a tutto il liscio».
Lei è direttore artistico di “Time in jazz”, festival che porta grandi musicisti internazionali a suonare nei luoghi più remoti della Sardegna, partendo dalla natìa Berchidda: in questa veste ha mai considerato di portare il liscio nel programma della manifestazione?
«In effetti potrebbe essere interessante: so che ci sono già diversi progetti che uniscono il jazz al liscio, ad esempio ne ricordo uno di Luisa Cottifogli insieme a diversi musicisti jazz che lavorano sulle composizioni di Casadei. “Time in jazz” è un festival molto aperto, e portarci dentro il liscio significherebbe riportare in Sardegna una tradizione che è sempre stata nell’aria. Ricordo che le bande sarde, alla fine delle processioni sacre, si fermavano al bar, e si lasciavano andare a tutt’altro genere di musica: i cosiddetti “ballabili”, tra cui naturalmente il liscio, che faceva ballare tutto il paese. Anche i palchi delle feste di piazza della Gallura erano pieni di liscio, per cui sono certo che se lo riportassimo nella nostra terra non sarebbe certo una realtà avulsa dal territorio».
Nei mesi scorsi lei è stato artista residente nel festival “Crossroads”, che comprendeva, tra le altre cose, “Pazzi di jazz”, l’iniziativa che avvicina gli studenti al jazz. Alla “Notte del liscio” sul palco con lei ci saranno 450 bambini del coro dell’Istituto comprensivo scuola primaria di Longiano: ormai lei vive in mezzo ai ragazzi.
«Io sono diventato papà da grande, dieci anni fa, e mi occupo a Bologna, dove vivo, di diversi progetti di divulgazione nella scuola. Abbiamo seguito mio figlio dall’asilo alla scuola materna e primaria, e abbiamo appena concluso un progetto con un concerto nel cortile della sua scuola con ospiti importanti come Ornella Vanoni, Niccolò Fabi, Eugenio Finardi e Gaetano Curreri. Organizziamo giornate aperte alla cittadinanza nelle scuole, per raccogliere fondi da destinare a progetti musicali come “Il jazz va a scuola”, della Federazione nazionale del jazz di cui sono presidente. C’è molta attenzione per l’infanzia, perché i bambini sono il nostro pubblico del domani; suona un po’ egoistico, ma non lo facciamo solo per quello. Portare la musica nell’infanzia significa farli crescere meglio, più forti e consapevoli del proprio essere. Lavorare con i bambini per me è sempre un’emozione grande; farlo su un palco, poi, è ancora più bello. Vedere una coralità così naturalmente espressa è la dimostrazione che la musica deve passare attraverso i giovani».