«Istigarono la figlia al suicidio. I genitori vanno processati»
FORLÌ. Sono stati i genitori a spingere la studentessa di 16 anni del Liceo Classico a gettarsi dal tetto della scuola il 17 giugno 2014 e a farla finita con una vita diventata insostenibile. Per questo motivo, con l’accusa di maltrattamenti in famiglia e istigazione al suicidio, la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio del padre e della madre della giovane.
L’udienza preliminare, che dovrebbe svolgersi il 3 marzo, vedrà la coppia difesa dall’avvocato Marco Martines presentare una memoria difensiva con la quale rigetterà le pesanti accuse.
Ma è terrificante il quadro dell’inferno famigliare descritto nella tesi formulata dal procuratore Sergio Sottani e dal sostituto Filippo Santangelo, con la quale si motiva la richiesta di portare alla sbarra i genitori. Un calvario che la stessa ragazza descrisse in un video di circa 40 minuti girato con il proprio telefonino quando già si era issata sul tetto dell’edificio di viale Roma, poco prima di gettarsi nel vuoto sul cortile interno.
Immagini che, secondo la Procura, lasciano poco spazio ai dubbi, avvalorate anche da tre lettere scritte dalla 16enne e imbucate al domicilio di altrettante amiche proprio quella tragica mattina, nelle quali spiegava le motivazioni del gesto.
Umiliazioni continue, una condizione di isolamento obbligato quasi totale da amici e compagni di scuola - non più di tre uscite serali in altrettanti anni - senza possibilità di usare internet. E poi il continuo richiamo ad una serenità famigliare rovinata proprio dalla sua presenza e che la sua scomparsa avrebbe ripristinata. Frasi e atteggiamenti che avrebbero concretizzato il reato di istigazione al suicidio.
L’episodio che probabilmente ha rotto il residuo equilibrio della giovane potrebbe essere stata la minaccia di non permetterle un viaggio di studio in Cina, già programmato nel mese di agosto di due anni fa, perché scoperta ad usare un telefono cellulare.
Frangente nel quale l’adolescente avrebbe urlato, disperata, ai genitori la volontà di farla finita, ricevendone in cambio un invito a farlo per “risolvere i problemi della famiglia”. E dopo la morte, l’abbandono nuda nella cella frigorifera della camera mortuaria - senza permettere a parenti e amici di visitarla - e la successiva cremazione senza un vero funerale, sarebbero secondo la Procura le ulteriori conferme della mancanza di pietà.