«Bruce crea appartenenza. Ci rende tutti azionisti del suo sogno americano»

Rimini

RIMINI. È una delle più grandi rockstar italiane pur non avendo mai imbracciato chitarre, bacchette o tastiere; il microfono sì, ma per raccontarci la storia del rock in programmi radiofonici cult e nelle seguitissime conferenze.

Massimo Cotto, giornalista, scrittore, conduttore e autore radiofonico e televisivo, dal 2011 è a Virgin Radio dove conduce “Rock bazar”; la sua è una delle voci e delle penne più ascoltate e lette dal popolo del rock italiano. Oggi pomeriggio sarà a Rimini (ore 16.30, Corte degli Agostiniani di via Cairoli 42), ospite dei Glory days per parlare di “Bruce: le origini, il sogno e la strada”.

«E proprio qui sta il difficile – anticipa lo stesso Cotto – perché non è facile parlare di Springsteen agli springsteeniani. A me Springsteen ha salvato la vita, dato una prospettiva, fatto capire che anche io potevo avere un posto in questo mondo. È l’emblema del rock come redenzione, ascoltare Thunder road è stata come un’illuminazione. Bruce non è soltanto un artista che amo, ma rappresenta ciò in cui credo. Senza di lui, sicuramente, avrei fatto altro e preso altre strade».

Di lui si dice: o si ama o si odia, di sicuro non ti lascia indifferente.

«È un artista che crea appartenenza, che ti fa schierare, senza mezze vie. Ci sentiamo tutti azionisti del suo grande sogno, crescendo e cambiando prospettiva con lui, identificandoci nei suoi personaggi,, nel suo immaginario, nel sogno americano che, nessuno meglio di lui, ha saputo racchiudere in storie, portando l’epica nel quotidiano».

Il Boss è anche il suo pubblico.

«I suoi live sono un rito che si rinnova ogni volta. Esserci significa avere la certezza di essere e sentirsi ancora vivi. Quando condividi esperienze così forti ti senti una cosa sola anche con gente che non hai mai visto prima. Ero talmente dentro al suo mondo che qualche anno fa decisi di non andare più ad ascoltarlo. Poi venne in Italia e mia moglie mi disse: non esiste che non mi porti a vederlo, mi hai talmente tanto parlato di lui che ora sono curiosa. Un caso del destino, non volevo davvero andarci, ma dopo i primi pezzi stavo già piangendo. Una magia che ti rapisce ogni volta come la prima».

Ieri sera i “Glory days” hanno ospitato un tributo a “Nebraska”: che rapporto ha con questo disco?

«Fu uno choc anche per me che pure amo certe atmosfere e i dischi per sottrazione. Ho impiegato più tempo per innamorarmi, ma poi ho colto l’epica di questi brani meravigliosi e tutte le sfumature dei testi e dei personaggi che racconta».

Come è cambiato negli anni il modo di vivere la musica?

«L'ascolto dei dischi è passato da esperienza collettiva a individuale. Una volta ascoltavamo insieme lo stesso disco per mesi, oggi è pieno di persone con le cuffie che ascoltano per i fatti loro ognuno un brano diverso. Oggi tiene solo il mercato del live. Quei ragazzi che appena aprono i cancelli – davanti a cui hanno trascorso la notte – e corrono verso il palco, non lo fanno solo per ottenere un posto, ma per partecipare a un banchetto degli dei, sentirsi parte di qualcosa più grande di loro. Quello che cambia sono gli strumenti, gli stili, ma il rock vive comunque di una continuità emotiva che vede nei live il momento più importante. Negli anni ’60 un sociologo, Paolo Ferrarotti, coniò un termine bellissimo: “Il rock è musica da abitare”. Nel senso che è musica da condividere come se fossimo tutti in questo grande palazzo dove ognuno prende una stanza o entra anche solo un minuto».

E i talent, dove li mettiamo?

«Non ho niente contro la tv o i talent, ma quelli stanno diventando fabbriche di suicidi per artisti sedotti e abbandonati. Ti fanno credere una star, ma poi ci vorrebbe una discografia sana che lavorasse sugli artisti e li lanciasse. Invece, salvo rari casi, non c’è, e finisce che un anno dopo fanno fatica a trovare da suonare nei bar vicino a casa. Io invece sogno un talent dove si vadano a scovare i gruppi nei garage e negli scantinati, ce ne sono tanti che varrebbe la pena conoscere e sostenere».

Che posto occupa Rimini nell'immaginario rock?

«Ha avuto negozi di dischi e locali storici che tutti gli appassionati hanno frequentato e conoscono. Rimini, dietro questa apparenza estiva e giocosa, nasconde una malinconia che è un sentimento fondamentale per ogni artista. Il mare di settembre, il lato nascosto e cupo della felicità e della leggerezza, aspetti a cui sono legato anche personalmente. La Rimini in cui mi ritrovo è quella narrata da Tondelli».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui