"Nel nome del padre" ucciso dalla mafia
CESENA. Teatro civile di legalità e sentimenti è la nuova proposta del teatro Bonci di Cesena. Stasera alle 21, con replica domani, Roberto Citran porta in scena “Nel nome del padre”, monologo tratto dal testo di Claudio Fava.
Fava è politico, giornalista, sceneggiatore, già autore della sceneggiatura de “I cento passi” (di Marco Tullio Giordana con Luigi Lo Cascio). Il testo racconta con gli occhi da figlio il rapporto con il padre Giuseppe Fava, giornalista ucciso dalla mafia a Catania il 5 gennaio 1984. La regia è di Ninni Bruschetta.
La rappresentazione rientra nel Marzo della legalità; a tal proposito l’attore incontra il pubblico domani alle 17.30 nel foyer del teatro.
Aveva cominciato facendo ridere, Roberto Citran; correva il 1979 e lui apparteneva alla generazione di ventenni agli esordi (è nato nel 1955). Negli anni 80 vinse il concorso per comici “La zanzara d’oro” ma poi l’attività di attore “puro” prese il sopravvento fra cinema e teatro. Sul grande schermo va ricordato il sodalizio con il regista Carlo Mazzacurati; fu diretto la prima volta nel 1989 ne “Il prete bello”, interpretando poi anche “Il toro” (Coppa Volpi come attore non protagonista) “Vesna va veloce”, “L’amore ritrovato”, “A cavallo della tigre”.
La sua carriera mantiene Citran figura discreta dello spettacolo, seria e misurata. In questi giorni è in prova come preside de “La scuola”, lo spettacolo con Silvio Orlando che sta per ritornare sulle scene: il debutto sarà a Bagnacavallo il 22 marzo.
Nel monologo odierno si ricorda di quando la mafia – nel 1984 – chiuse la bocca al giornalista Fava, reo di avere denunciato gli intrecci fra malavita e classe dirigente. Passeranno quasi vent’anni per avere colpevoli e mandanti con sentenza definitiva. Il figlio Claudio negli anni 90 scrisse il libro “Nel nome del padre” dal quale è stato tratto questo testo, pensato come una lettera.
Citran, come è arrivato a questo monologo di impegno civile?
«Lessi il libro di Fava alcuni anni fa. Ne rimasi colpito per l’asciuttezza, per lo sviluppo privo di risentimento, di vendetta, forte, lucido. Un testo nel quale l’autore ha saputo portare su carta scritta una storia personale, riuscendo a farmi capire che cosa era accaduto e comunicandomi il suo grande dolore. Questo connubio mi ha spinto a chiedergli di portarlo in scena».
Un testo di mafia che si sofferma più su una intimità personale.
«Riesce a recuperare il rapporto col padre, raccontando lo strappo subito per mano mafiosa. L’ho sentito come un dovere presentarlo al pubblico».
Quale modalità teatrale ha scelto?
«Ho cercato di mantenere l’asciuttezza della scrittura, parlo in prima persona, mi faccio portavoce della vicenda di Claudio, la messa in scena è semplice, intima, da racconto. Claudio ed io siamo giunti a questa forma attraverso un rapporto epistolare. Ci siamo scambiati opinioni, modificando pure alcune parti fino a trovare il testo più adatto al palcoscenico».
Cosa vorrebbe fare arrivare al pubblico?
«L’offesa doppia subita dal figlio; dopo il dolore per la morte del padre, si trovò davanti a una giustizia inizialmente rovesciata; le indagini, che subirono un depistaggio, lesero la sua intimità, il suo telefono fu controllato a sua insaputa per due anni, lui quasi “colpevolizzato”. Insomma, fu come trovarsi davanti a un muro, ma alla fine di tutto Claudio ne è uscito rinforzato».
Considera i testi di teatro civile un linguaggio gradito al pubblico?
«Il monologo è sempre esistito a teatro; la novità di questi anni sta forse nello sviluppo in narrazione, nel racconto che crea un teatro informativo. La gente apprezza perché ha modo di recuperare fatti storici dimenticati che ci costringono a fare i conti col nostro passato».
Info: 0547 355959