Adriatico in lungo e in largo: in barca e in bici, in treno e in auto
Il libro sintetizza e analizza molti percorsi letterari, proprio a partire dai mezzi di trasporto che, inevitabilmente, condizionano anche la scrittura. L'Adriatico è una profonda ingolfatura mediterranea; «Navigando lungo la costa adriatica, da un'insenatura all'altra, da un'isola all'altra, qualche volta ho avuto la sensazione che le carte non siano sempre necessarie», ha scritto Predrag Matvejevic che non a caso apre questo ricchissimo portolano letterario.
Un secolo di storia
Diviso in quattro parti, la prima dedicata a barche e navi, le altre a treni, automobili e biciclette, con cui scrittori, giornalisti e poeti hanno fatto viaggi adriatici lunghi o corti, per acqua o per terra. Le testimonianze raccolte da Di Donfrancesco coprono oltre un secolo di storia recente, dalla seconda metà dell'Ottocento ai giorni nostri. E' del 1870 la narrazione di un immaginario viaggio ferroviario da Venezia a Trieste, scritto da Paolo Tedeschi, mentre sono del 1890 le pagine riguardanti la navigazione in piroscafo sulla costa orientale fatta da Augusto Giacosa. Nel Novecento troviamo Biagio Marin, poeta gradese a bordo di trabaccoli e vaporini, Giovanni Comisso, chioggiotto d'adozione, sui bragozzi, Giani Stuparich, triestino, che da ragazzo saltava nelle piccole barche dei pescatori di Isola d'Istria, «snelle e solide, di tipo piratesco, con la grande vela triangolare e il fiocco, per lo più di colore arancione».
C’è anche il kayak
Rimanendo in barca, ma in tempi più recenti e a pelo d'acqua, molto originali sono i racconti delle esperienze fatte in kayak da Emilio Rigatti, più noto come ciclista, che ha pagaiato nel 2010 sui fiumi dell'Alto Adriatico e l'anno dopo da Trieste a Zara. Un'avventura nello spazio e nel tempo: «Arrivare a Lussingrande in kayak è come pagaiare in una vecchia cartolina acquerellata ... Le rive pullulano di personaggi in costumi medievali, turchi e crociati, che bevono birra e fumano sparsi nei vari bar».
Non mancano frammenti odeporici romagnoli, legati però al treno. E' Antonio Baldini che nel 1940 raccontava con ironia visiva e accusatoria lo stato di abbandono in cui versavano alcune linee ferroviarie tra cui quella che distaccandosi da Santarcangelo «all'ottavo chilometro, dopo la stazione e gli scambi di Poggio Berni», finiva tra «rovi acacie cardi e fiori selvatici in quantità fra i quali brulicano le capre, bezzicano le galline e volano calabroni e farfalle».
Ma la Romagna guadagna spazio quando gli scrittori salgono in sella. Paesaggi adriatici dei ciclisti Alfredo Oriani e Alfredo Panzini, pionieri del reportage su due ruote. Scrive Panzini nella sua “La lanterna di Diogene” del 1906, arrivando a Ravenna: «Chi passando per quelle arene avrebbe pensato di battere una delle più antiche e storiche vie d’Italia? … su quelle sabbie che la docile ruota della bicicletta non riusciva più a varcare, passarono le ultime legioni di Roma».
Sulla loro scia arriviamo all'oggi, ai tanti che viaggiano e scrivono della e dalla bici. Paolo Rumiz l'Adriatico l'ha viaggiato e raccontato in tanti modi e tante volte, andando in bici a Istanbul, poi a vela a Lepanto e a piedi a Brindisi. Senza dimenticare la navigazione fluviale del Po, che dell'Adriatico è la più importante arteria; prolungamento acqueo, vestigia di un antico mare più grande, che arrivava alle pendici del Monvisio.
Tutte le volte che ci mettiamo in viaggio, issando una vela o spingendo sui pedali, salendo in auto o in treno, comunque ricordiamo un fulminante aforisma di John Ruskin: «Gli uomini non hanno visto granché del mondo andando lenti, figuriamoci se vedranno di più andando forte».