«Ma quale prof assenteista»: parla lo studioso riminese da 3mila euro al mese nel mirino del dipartimento di Scienza

Rimini

Il 62enne Luciano Lattanzi, che risiede a Montecopiolo, è ricercatore al dipartimento di Scienze pure e applicate presso l’università di Urbino, settore ambiente finito. Un’esistenza come tante, la sua, finché nei giorni scorsi Giorgio Calcagnini, rettore dell’ateneo in cui lavora, ha rilasciato un’intervista dove ha condiviso un ampio cahier de doléances a carico del dipendente che, sostiene, non si sarebbe «più visto dal 2003» e che, pur ricevendo uno stipendio tra i 2.500 e i 3mila euro, non avrebbe pubblicato «da tempo alcuna ricerca».

Professor Lattanzi le accuse mosse contro di lei rispondono al vero?

«È stata raccontata dalla stampa, peraltro in termini molto aggressivi, una versione inventata e distorta rispetto alle poche parole che ho pronunciato».

Dall’università le sono mai giunte reprimenda?

«Mai ricevuta alcuna comunicazione. Sono io che, dopo questo clamore mediatico, ho preso appuntamento con il rettore per il prossimo martedì».

Ha interrotto l’attività di ricerca da 20 anni?

«Faccio ricerca da sempre, nell’ambito dell’analisi ambientale dei composti chimici che inquinano, e tuttora continuo a studiare. La ricerca non consiste solo nello scrivere libri, fermo restando che negli anni ho dovuto affrontare vari problemi di salute. In precedenza ho sempre svolto attività nel laboratorio che era diventato la mia seconda casa. Scendendo nei dettagli, dal 1986 al 1991, pur lavorando, non venivo pagato. Risultavo nullatenente ma in compenso spendevo soldi per la benzina macinando 100 chilometri al giorno tra Montecopiolo e Urbino, inclusi i pasti fuori casa. Anni che, tra l’altro, non saranno conteggiati ai fini del calcolo pensionistico, appunto perché lavoravo gratis. Solo nel 1991 sono stato assunto come tecnico diplomato, finché nel 1997 sono entrato come ricercatore dopo avere vinto un concorso. Una finestra temporale, quella iniziata allora, dove lavoravo per conto terzi».

Ovvero?

«Assieme ai colleghi mi recavo a fare prelievi e analisi ambientali per determinate aziende. Le cifre ricavate andavano all’università, per acquistare strumentazioni, e di certo non finivano nelle mie tasche. Durante quel periodo ho scoperto un prodotto che interessava a molte ditte, in particolare americane, in quanto migliorava le prestazioni analitiche di alcune categorie di composti chimici. Una soluzione che ha portato nelle casse dell’ateneo un contratto per 80mila dollari in tre anni più un altro accordo, altrettanto importante, per un ulteriore biennio. All’epoca la direzione di istituto contava molto su di me e, lavorando con serenità, pubblicavo numerosi articoli».

Poi cos’è successo?

«Mi sono trovato, per così dire, orfano. E quello che ho subito è stato uno stillicidio. Nel tempo il laboratorio, che dividevo con alcuni colleghi, è stato svuotato da qualunque strumento, a partire dal computer, per cui mi è stato impossibile lavorare in sede».

Come se lo spiega?

«Sono cose che succedono quando viene a mancare un referente universitario. Una situazione difficile, non lo nego, ma che non mi ha impedito di avviare un altro progetto con l’obiettivo di individuare le cause della Sla, la malattia di cui purtroppo nel 1994 è morta mia madre. Un’idea in cui non navigavo da solo ma avevo coinvolto diversi colleghi».

Di cosa si trattava?

«Prendendo spunto da un territorio a raggio ridotto, volevo verificare se tra le concause che provocano la Sla potesse rientrare l’effetto di un’esposizione prolungata alle onde elettromagnetiche. Qualunque ricerca procede anche per esclusione di determinati fattori per arrivare alle cause reali. La mia ricerca, nella peggiore delle ipotesi, poteva comunque essere punto di partenza per lavori successivi».

Cos’è andato storto?

«Non voglio riversare tutta la colpa sull’università, negli anni ho vissuto problemi personali piuttosto gravi. Ciononostante ho sempre offerto la mia disponibilità per corsi e altri lavori. Fatto sta che nel 2010 la voce del mio progetto è giunta alla direzione del dipartimento che mi ha caldamente sconsigliato di procedere, adducendo come motivo il fatto che non fossi competente in materia. D’altronde chi è competente nella Sla? Avevo cercato di creare un pool di studiosi, confrontandomi con un biochimico, sempre dell’università di Urbino, ma anche un fisico e un esperto di statistica. Più avanti avrei coinvolto un genetista. In breve mi stavo attivando per un obiettivo molto importante e mi ha profondamente deluso, non lo nego, veder congelare una progettazione che mi ha assorbito ogni energia per parecchi anni».

Tornerà in facoltà solo per calcolare quanto manca alla pensione?

«Un’accusa, quella che mi hanno lanciato, che non merita commenti. Ignoro quanti anni manchino alla fine della mia carriera. Non è certo il primo dei miei pensieri. E mi ha ferito che di me si potesse pensare una cosa simile».

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