Il volontario riminese: “Siria, guerra civile a un passo”

«La Siria è sull’orlo di una guerra civile». A lanciare l’allarme è l’architetto riminese Diego De Gregori, già volontario in Siria, che ha risposto alla chiamata dell’associazione “Pro terra santa”. Non c’è pace per il Paese, che nel dicembre 2024, ha visto cadere la dittatura di Assad al potere da quasi un quarto di secolo quando era subentrato al padre, Hafe, che aveva spadroneggiato per i precedenti trent’anni.
Situazione esplosiva
Gli aggiornamenti giungono da padre Bajgat di Aleppo, frate francescano della Custodia e parroco della città. La situazione è precipitata negli ultimi giorni, spiega, e nel Paese «si respira un clima molto pesante». La tensione, che è alle stelle in diverse zone, è sfociata in atti di violenza fino a quando il 6 marzo scorso «è scoppiata una resistenza armata contro le forze ufficiali rifiutate da una larga fetta della popolazione, per presunte azioni di violenza e vendetta nei confronti dei civili delle minoranze».
Le forze in campo
Per contro si parla di una vera e propria azione militare organizzata dai sostenitori del vecchio regime e sostenuta da forze regionali «che avrebbero l’interesse a creare e mantenere uno stato di caos». Di chi si tratta? «Da una parte - prosegue il francescano - di Israele che avanza nei territori siriani e se ne impadronisce, presentandosi come difensore dei drusi contro le forze governative considerate “milizie terroristiche”; dall’altra l’Iran che non accetta la perdita del potere che aveva al tempo di Assad». Senza dimenticare il ruolo della Russia «che resta ambiguo».
Per l’ennesima volta, quindi, i siriani «si trovano sull’orlo di una guerra civile». Quanto alle cause, alcuni accusano la comunità internazionale «di non assumersi le proprie responsabilità in una terra dove si scontrano grandi potenze, ognuna affamata di una fetta della torta». Altri invece puntano il dito «contro il nuovo governo che, al di là delle belle promesse, non ha garantito processi pubblici e equi nei confronti dei criminali di guerra». Un fatto che ha lasciato mano libera a chi vuole farsi giustizia da sé permettendo poi di agire indisturbati «a quanti si vogliono organizzare per “liberare di nuovo” la Siria». Ma non solo. Un’altra mancanza della nuova presidenza sarebbe quella «di mantenere lo status quo del governo, formato subito dopo la caduta del vecchio regime, e che resta in carica oltre il termine fissato di tre mesi». Un governo, ribadisce, che raccoglie «persone poco esperte in politica e portatrici di un pensiero politico di stampo religioso».
Luci e ombre
Nei mesi ci sono stati anche spiragli di speranza: il costo di alcuni beni sul mercato è diminuito e è stato possibile procurarsi carburante, gas e pane «senza lunghe file o umiliazioni per ottenere beni di prima necessità». A questo si aggiunge un buon livello di libertà di parola mentre durante il regime, esprimere un’opinione politica «era un crimine che poteva costare la vita». Non è raro tuttavia osservare segni di orientamento estremista.Un esempio? «Sui mezzi pubblici le donne vengono separate dagli uomini e alcuni gruppi distribuiscono alla popolazione femminile il burqa». Il fenomeno più pericoloso, però, è legato ai nuovi agenti di polizia e di sicurezza «che prima dell’addestramento devono seguire un corso di Sharia, la legge islamica». Il che, secondo i francescani, implica «che non tutti potranno accedere a tali posizioni, compresi i musulmani moderati. Col rischio «di creare cittadini di serie “B” su larga scala».
Il peggio è che non sarà possibile organizzare elezioni senza un censimento, un’operazione complessa, data la presenza di milioni di siriani profughi o senza fissa dimora. Si parla di un’attesa di tre o quattro anni, incalza padre Bahjat, ma ciò che manca è una road map «che ci guidi fino ad allora». Intanto a preoccupare è l’emergenza economica. Il motivo? Centinaia di migliaia di persone sono impiegate in modo fittizio presso le istituzioni governative del vecchio regime: tutte saranno licenziate restando senza sostentamento. D’altronde, le promesse di aumentare del 400% gli stipendi «non sono state mantenute». Anzi i pensionati sono stati esclusi e molti dipendenti pubblici «non ricevono un salario alla fine di dicembre». Uno scenario che ha paralizzato il mercato: la gente non lavora, i soldi non circolano e i bisognosi sono in aumento. Per mantenere una stabilità in Siria «è indispensabile un governo che rappresenti tutti le componenti della società siriana ma non si scorgono azioni in tale direzione».
Un popolo in ginocchio
Girano a vuoto anche i tentativi di confronto «che per ora restano inchiostro sulla carta». Altro obiettivo mancato? «Tutti aspettavano il 1° marzo, data in cui si sarebbe dovuto formare un nuovo governo di transizione, ma è stato un ulteriore buco nell’acqua». E la popolazione? «È stanca - spiega il religioso - e noi non sapremmo più cosa dire o come infondere coraggio per affrontare quel che verrà».