Da Riccione al Messico, Davide: “Lavorare qui è molto più semplice”

Rimini

«Nei miei piatti batte un cuore romagnolo ma c’è un mix con altre culture». La prima volta in cui ha messo piede in Messico ha trovato un paradiso incontaminato che l’ha conquistato con la sua bellezza selvaggia.

Era il 1996 e il riccionese Davide Giorgi, allora ristoratore 24enne con un’attività in Piemonte, era sbarcato oltre oceano per avviare il locale di un’imprenditrice riminese. In tasca aveva già il biglietto di ritorno per un’avventura con scadenza a sei mesi. La svolta arriva nel maggio del 2003 quando lascia la Romagna per piantare le tende in Messico. Un percorso che lo vede lavorare 4 anni per altri, prima di mettersi in proprio. Ora ha una moglie messicana, Roxana, due figli (Asia e David) e tre attività dislocate tra Playa del Carmen e lo Yucatan, ovvero un ristorante, un b&b e una caffetteria.

Giorgi, il turismo ha più dato o più tolto al Messico?

«Il turismo ha fatto ingranare una marcia diversa al Paese con vari pro e contro. Lo Yucatan resta una terra ancora vergine mentre Playa per certi versi è stata stravolta dalle colate di cemento che hanno eretto grattacieli. Un cambio di passo da cui sono derivati, come rovescio della medaglia, più traffico e inquinamento. Una volta, invece, dominava un silenzio incredibile interrotto solo dalla voce dell’oceano. I colori erano così vividi da sembrare artefatti. Quanto ai visitatori, all’inizio erano soprattutto italiani mentre adesso, complice la crisi economica, prevalgono altre nazionalità tra cui canadesi e americani che godono di un maggior potere d’acquisto».

Altra nota dolente?

«L’impennata dei prezzi che ha travolto Playa, dalla verdura alla benzina (che ormai viaggia su 1,2 dollari al litro), anche se resta comunque più economica dell’Italia. Quando sono arrivato, tutto costava 20 volte meno e per aprire un locale bastava un mese di attesa».

La prima impressione all’arrivo?

«Era un sabato sera di dicembre e io ero indossavo un giubbotto di pelle nonostante i 30 gradi. Camminavo sulla via principale e d’improvviso mi sono trovato circondato da messicani in festa, tutti ubriachi fradici. Un entusiasmo senza freni che all’inizio mi ha sconcertato».

Puó ripercorrere la sua avventura imprenditoriale?

«Il primo locale si chiamava Romagna mia, proprio come il secondo, poi lanciato con un socio. Dopo averli venduti, ho puntato sul “Rey David el Cuyo”, che sorge a Playa e conta una quarantina di coperti, di seguito ho comprato un terreno nello Yucatan. Tutti mi davano di matto ma ora affitto appartamenti ai turisti, nella cosiddetta Casa colobrì, e ho persino inaugurato una caffetteria. È una sorta di bed & breakfast in paradiso, riservato a una ventina di ospiti. La natura circostante è incredibile e vale il viaggio anche quando l’elettricità va in tilt per qualche ora».

Perché lasciare l’Italia?

«È un Paese meraviglioso, il nostro, ma rende difficile lavorare a causa di burocrazia e tasse. Al contrario il Messico gira su altri binari e offre un’ampia offerta di personale sebbene il turnover sia frequente. Quanto a me, oggi ho 10 dipendenti a Playa e 8 a Cuyo».

Sforna specialità romagnole?

«Dalla colazione sino alle 13 si mangia messicano, dopodiché passiamo alla tradizione italiana fino alle 22.30. Adeguarsi ai gusti della clientela è stato inevitabile. Ne è derivato un mix gastronomico tra due culture diverse. Devo tener conto delle richieste dei turisti».

Qualche esempio?

«Sulla pasta fatta in casa i canadesi pretendono la panna da cucina. E in tanti grattugiano il formaggio persino sui tagliolini allo scoglio. Roba che farebbe impallidire mia madre e tutte le azdore romagnole. Restano però made in Italy, nelle colazioni al b&b, il nostro caffè e il gettonatissimo cappuccino. Da Riccione ho portato anche l’attrezzatura: dal testo per la piada al passapatate inclusa la macchina per fare la sfoglia».

Mai pentito della sua scelta?

«Le vacanze in Italia sono fantastiche ma per costruire dal niente un’attività bisogna sbarcare oltreoceano».

Il Messico è noto anche per la criminalità, come correte ai ripari?

«Basta mantenere un profilo basso, in particolar modo a Playa del Carmen».

Un pregio dei messicani?

«Si tratta di un popolo felice. Quanto a sorrisi, li battono solo i brasiliani. D’altronde un sudamericano depresso devo ancora trovarlo. Il buonumore e la musica qui non mancano mai. Persino nella pandemia ci sono stati meno lacci e vincoli rispetto ad altri Paesi: in Messico ti senti sempre libero».

Ma un difettuccio ce l’hanno i messicani?

«Spendono più di quanto guadagnano. Ma soprattutto, la puntualità: ormai mi sono arreso, non sanno proprio che cosa sia».

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