Un concetto di cultura che dialoga e si integra con quelli di luogo, linguaggio, comunità. Con questo allargamento di prospettiva sulla proposta di Rimini capitale della cultura italiana interviene Isabella Bordoni, autrice, artista, curatrice indipendente. Attiva dalla seconda metà degli anni Ottanta all’interno della scena nordeuropea delle arti performative, elettroniche e mixed media, Bordoni collabora oggi con realtà di ricerca interdisciplinare, oltre ad accademie, università, fondazioni, enti nazionali e internazionali.
Isabella Bordoni, la proposta di candidare Rimini capitale italiana della cultura ha aperto un dibattito su cosa si intenda oggi per cultura. Quale è il suo parere?
«Credo che non solo si debba sensibilmente interrogare la definizione di cultura, ma anche quella di luogo e di generazione, che personalmente vedo convergere sulla parola “capitale”. Per farlo, occorre considerare le forme del vivente come fulcro di questa attenzione; intendo con “vivente” l’esistenza interspecie e la relazione tra la condizione umana e gli ambienti, nel tempo. Credo che ciclicamente, ma con un anticipo di decenni rispetto alle politiche istituzionali, proprio la cultura e l’arte cerchino e talvolta trovino quel legame proficuo tra
linguaggio,
azione,
comunità,
luogo. Chiamo quindi cultura quell’impegno duraturo nel solco via via più ampio dove le discipline e i saperi si contagiano, si aggregano e integrano, si insegnano e imparano a vicenda le pratiche nei luoghi. Una visione né antropocentrica né urbanocentrica, all’interno della quale donne e uomini hanno prodotto e producono sì, opere dell’ingegno, biblioteche, scuole, teatri, piazze, edifici, cattedrali, e non di meno paesaggio, sperimentazioni agricole, ricerca scientifica e tecnologica... Abbiamo già chiamato “ecologia politica” questo approccio sistemico, ma anche sulla scia di un approfondimento linguistico e lessicale che traccia traiettorie e comportamenti, guardo da tempo a quel pensiero che nel termine “ecosofia critica” (che mutuo dalla filosofa Tiziana Villani) fonda la sintesi tra cultura, welfare culturale, politiche sociali, urbanistica e organizzazione spaziale, arte,
legami di senso e di prospettive tra mondi urbano e rurale, tra centro e periferia o aree interne, cultura digitale, e si impegna nel ridisegnare la
qualità del quotidiano. Chiamo cultura, infatti, anche quell’insieme di pratiche, gesti e simboli che permeano le
relazioni tutte, perché è da quelli che nascono comunità educanti, capaci di riconoscere l’insidia dei livellamenti verso il basso».
Per presentare la candidatura al ministero è necessario presentare un progetto. Quale potrebbe essere il punto di forza di Rimini su cui puntare?
«Rimini ha una storia e una geografia che le conferiscono un’aura in sé strategica, ma c’è un lavoro da fare per
superare gli stereotipi che la modernità le ha messo addosso. Il legame tra mare, città, entroterra sono un suo punto di forza. Rimini si sporge tra Oriente e Occidente, la sua provincia si bagna nel Mediterraneo e si allunga sull’Appennino attraversando una ricchezza paesaggistica e alcune peculiarità ambientali, punti di luce, prospettive. A Rimini si è anche generata una cultura underground in parte legata al
clubbing, in parte a
esperienze mediali e di
publishing, che sono diventate patrimonio di generazioni di giovani e meno giovani, e che diventano a mio avviso ancora più interessanti oggi, che prendono distanza dalla lettura didascalica del proprio tempo e diventano esperienze osservabili nella loro complessità. Se dovessi decifrare un “genio del luogo” di Rimini, direi che ha in sé qualche cosa che oscilla tra anacronismo e presagio,
qui passato, presente e futuro paiono talvolta coincidere e si appoggiano su alcuni punti di fuga. Punterei, in senso ampio, su questa “prospettiva” verso la quale ci ha già introdotti Piero della Francesca cinquecento anni fa».
«Sì a un percorsoche lasci un segno al di là dell’esito»
Alla luce delle opinioni espresse sul concetto di cultura, a Isabella Bordoni abbiamo chiesto se la città di Rimini avrebbe le carte in regole per candidarsi a questo titolo. «Non entro nell’iter istituzionale, che non conosco. Sul piano più creativo dei contenuti, è bene non avere un percorso precostituito, decisamente poco interessante se già prevedibile, normato e formale. Dunque è bene che “le carte” per così dire, diventino loro stesse parte del processo abilitante alla candidatura e che questo percorso lasci un segno, perfino indipendente dal buon esito o meno della candidatura stessa. Serve l’ascolto. Fare dell’ascolto un metodo. Sono stata ospite del programma culturale di Matera capitale europea della cultura 2019. Con altre artiste e artisti e curatrici e curatori, ho partecipato a un progetto che, nel corso di un paio di mesi, ma grazie al lavoro sul campo di alcuni anni, connetteva comunità locali e transgenerazionali su processi artistici di rigenerazione urbana e di comunità. Ora, a parte il termine “rigenerazione urbana” che trovo un po’ coloniale e che da oltre vent’anni anni sostituisco con “cittadinanza poetica”, alla base c’è comunque la consapevolezza che la cultura non è esclusivamente quella che si fa con i megafoni e i riflettori ma anche, e talvolta soprattutto, quella che corre sotto traccia e che si manifesta con piccole e persistenti epifanie».
M.A.